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Ttip, tutti i vantaggi del trattato

Il Ttip è un acronimo poco noto che sta a significare, per esteso, ‘’Transatlantic trade and investment partnership’’: un trattato rivolto ad abbattere le barriere doganali, commerciali e normative tra le due sponde dell’Atlantico. Il negoziato è stato condotto riservatamente fino a poco tempo fa (i governi europei hanno dato mandato alla Commissione, attribuendosi, insieme al Parlamento, il compito dell’eventuale ratifica). In seguito, è stata adottata una procedura più trasparente, con la pubblicazione dei documenti riferiti alle procedure a partire dalle direttive che la Ue ha fornito ai propri negoziatori.

Da noi, provinciali come siamo, la questione non è oggetto di dibattito, neppure tra gli specialisti; ma tante sono le riserve, a nostro avviso, conservatrici e pretestuose. A sostegno del trattato vi sono parecchi argomenti validi. Innanzi tutto, la riduzione delle barriere doganali e commerciali (intorno al 4%) favorirebbe la riduzione dei prezzi per i consumatori. Sempre sul piano economico vi sarebbero – secondo stime della Commissione Ue – incrementi di 120 miliardi di euro, a regime, ovvero dopo 10 anni dall’entrata in vigore del trattato (nel 2027). Ma sembrano essere i vantaggi politici a sottolineare l’opportunità del trattato.

In primo luogo, il Ttip dimostrerebbe un forte interesse degli Usa a favore dell’Europa, magari in chiave competitiva con la potenza cinese che è ormai tanto presente e condizionante nell’economia americana. L’Europa e gli Usa sono pur sempre l’area più sviluppata e tecnologicamente avanzata del pianeta. E già adesso hanno profondi legami economici. Gli investimenti americani in Europa (con importanti ricadute sull’occupazione) sono il triplo di quelli diretti in Asia; quelli europei negli Usa sono otto volte superiori agli investimenti in India e Cina messi insieme. In sostanza, l’economia atlantica esiste già. Un accordo del genere con l’America sarebbe un obiettivo molto rilevante per l’Italia, che ha attualmente con gli Stati Uniti un volume (in crescita) di scambi superiore ai 40 miliardi di dollari l’anno. Non esisterebbe un’alternativa altrettanto credibile per questo mercato.

Gli anni di crisi dell’Eurozona hanno chiarito – ha scritto Marta Dassù – ‘’che la crescita dei Paesi emergenti, per quanto rapida e importante in prospettiva, non è in grado di tirarci fuori dalle secche, non può ancora sostituirsi al consumatore americano e al suo potere d’acquisto. Tanto più per una economia come la nostra, dove solo la domanda estera compensa la durezza dello slow-down domestico’’. Ora un quinto delle esportazioni sono a corto raggio, destinate, cioè, alla Francia e alla Germania. Tanti sono i vantaggi competitivi degli Stati Uniti.

Prima di tutto, la disponibilità di energia a basso costo: la rivoluzione del ‘’tight oil and shale gas’’ consentirà, in pochi anni, agli Usa di ridurre la dipendenza dall’estero e di diventare, anzi, un esportatore netto di idrocarburi, con grandi opportunità per le imprese statunitensi.

Secondo vantaggio: il dominio globale delle tecnologie informatiche e dei nuovi media, di cui gli Usa dividono il primato con l’Europa. Le maggiori difficoltà si troveranno sul terreno dell’armonizzazione delle normative per quanto riguarda soprattutto la sicurezza alimentare. Il settore dell’agricoltura (che già stenta a competere all’interno dell’Europa e che osserva con preoccupazione il superamento delle politiche agricole comunitarie fino ad ora condotte all’insegna del protezionismo) farà sentire il suo peso politico sui governi, evocando, a bella posta, i rischi degli ogm (ma non si potrà sfamare un’umanità in forte espansione demografica senza porsi questo problema), delle carni imbottite di ormoni e quant’altro possa impressionare, strumentalmente, le opinioni pubbliche.

Poi dobbiamo aspettarci il muro del pianto delle piccole imprese pronte a denunciare le manovre delle multinazionali all’ombra del trattato. Occorre, però, accettare le sfide e sottrarsi al delirio dell’autarchia e alla retorica del ‘km zero’. L’apertura transatlantica dei mercati porterà crescita e sviluppo. Per giunta l’euro è diventato, con l’attuale valore del cambio, una moneta competitiva con il dollaro.

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