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Tutte le nevrosi gender della politica italiana

Sono giorni e giorni che siamo ostaggio di provvedimenti e discussioni sul gender (genericamente genere in italiano) molto e insopportabilmente pericolosi per la tenuta non solo del governo ma di un sano e realistico buonsenso e di tolleranza di ossessioni di una politica demagogica e disfattista piuttosto che innovativa.

I fatti. La Gazzetta Ufficiale ha pubblicato la tanto discussa riforma sulla scuola in cui art 1 comma 16 si legifera “Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.

Il piano triennale dell’offerta formativa assicura l’attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all’articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del predetto decreto-legge n. 93 del 2013 (La tanto magnificata quanto inapplicata a tutt’oggi legge contro la violenza di genere chiamata anche odiosamente femminicidio che è comunque stata finanziata). Sta di fatto che da Strasburgo arriva la sentenza che dà ragione a tre coppie che chiedevano di essere registrate in Italia come matrimonio , che rischia di confondersi con la discussione ancora in atto sul ddl Cirinnà sui matrimoni gay (detti unioni civili).

La questione è che sono assolutamente d’accordo sulla tesi che combattere le violenze di genere non vuol dire sposare la teoria del gender, per la quale l’identità di genere non è riconosciuta per un dato naturale ma scelta dalla persona, sono invece assolutamente convinta che difficilmente nelle scuole e sulla pelle dei nostri figli saremo in grado di far valere questa opinione come interpretazione autentica sul tenore di “violenza di genere” nei vari Consigli d’Istituto che discuteranno il contenuto dei Pof (Piano offerta formativa). Così come non ho dubbi che molto difficilmente si può sostenere che questo tipo di “approccio di genere” riguardi in realtà esclusivamente la prevenzione o il contrasto a casi di pratica discriminazione e violenza sessuale o psicologica dei ragazzi negli ambienti scolastici.

È letteralmente chiaro che si tratta invece di un approccio filosofico e antropologico globale che deve preoccuparsi di rimodulare e anzi rimodellare completamente i termini del discorso sull’identità sessuale dell’essere umano in relazione alla sua “identità di genere”. Lo dico cioè chiaramente: il contenuto del Piano, ripreso dal comma 16, è oltre ogni ragionevole dubbio una porta spalancata sull’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell’ideologia Gender e il comma 16 della riforma scolastica viola la libertà educativa della famiglia. In quanto tale, non è negoziabile con le promesse del Ministro di potenziare gli strumenti del consenso informato.

Non solo per questioni di sostanza, ma anche perché questo costringe ancor più le famiglie in una già estenuante posizione difensiva rispetto agli attacchi ideologici subiti nelle scuole dei loro figli. Un conto è avere in mano leggi che impediscano l’ingresso nelle scuole di queste teorie, altro conto avere in mano una modulistica con cui inseguire capillarmente su tutto il territorio nazionale queste attività per poter provare ad arginarle (spesso a costo di liti furibonde tra scuola e genitori, in cui ci rimettono i bambini e le bambine).

E sono ben consapevole del disastro in cui già con opuscoli o mala informazione nelle aule già accadono ignoranti approcci e siamo chiamati a riconoscerli denunciarli e contrastarli e non subirli passivamente. Sempre sulla stessa linea la questione dei Diritti civili e la sentenza di Strasburgo che in queste ore ha compiuto un’intromissione indebita nell’ordinamento italiano.

Bisogna avere il coraggio di dirlo e non farci intimorire dagli estremismi agghiaccianti della Boldrini che approfitta della cerimonia del ventaglio e ai giornalisti dà una interpretazione integralista sinistrosa della sentenza della Corte che evidentemente anch’essa è andata oltre il suo ruolo esondando su una materia di rilievo e di competenza nazionale.

Con questa storia dell’Europa e delle ricercate uniformità economiche e sociali si stanno compiendo degli sbagli clamorosi . Infatti 24 paesi dei 47 Stati che aderiscono al consiglio europeo hanno adottato una normativa che autorizza la registrazione delle unioni dello stesso sesso e gli altri 23 paesi, compresa l’Italia, non hanno legiferato in merito. In questo periodo poi dove la sovranità nazionale di un Paese, come la Grecia e i fatti accaduti e in corso, è gridata sistematicamente come esempio dell’intangibilità della democrazia di ogni assemblea elettiva parlamentare, e componente della UE, l’interpretazione dei diritti non rispettati di Strasburgo versus l’Italia è veramente singolare.

Le unioni omosessuali sono un terreno delicato che vedono il nostro paese intento ad una discussione che non può ragionevolmente essere forzata con intromissioni indebite che condizionano il già strettissimo dialogo parlamentare nostrano già molto indebolito sul piano del gender e di questa furiosa quanto improvvida stagione di fanatismo verso il terzo sesso balzato ai primi posti in graduatoria, sotto la spinta strumentale di politiche di pari opportunità che vogliono subentrare nei temi antiscriminatori fino a poco tempo fa dedicati giustamente anche dall’Europa ai temi dello sviluppo dell’occupabilità femminile e della situazione sociale delle donne,ora anche a Palazzo Chigi, ficcati in un cono d’ombra, a vantaggio dell’omosessualità più esibita e radicale con tanto di finanziamenti a disposizione.

Anche questa è mala politica e non si può tacere.

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