La riunione del Fomc di luglio dovrebbe essere interlocutoria, in attesa di ulteriori conferme della solidità della ripresa. Il Comitato approfitterà della mancanza di conferenza stampa e di revisioni alle proiezioni per ridurre al minimo le modifiche al comunicato e traghettare i mercati senza shock fino alla riunione di settembre. A luglio, come ad aprile, eventuali nuove informazioni sul dibattito riguardo al sentiero dei tassi saranno disponibili con i verbali (in pubblicazione il 19 agosto). La comunicazione verbale recente sta preparando comunque i mercati a una svolta nel 2° semestre, e segnalando una concreta possibilità di un primo rialzo a
settembre.
Anche le scarne novità della riunione di luglio saranno importanti per aggiornare la probabilità di un rialzo dei tassi a settembre. La chiave di lettura del comunicato sarà il tono della valutazione dei dati, dello scenario economico e dei rischi internazionali. Una valutazione positiva dello scenario, con il riconoscimento di ulteriore miglioramento del mercato del lavoro, è di per sé un passo avanti piuttosto chiaro verso un rialzo in tempi brevi. Questo aprirebbe la strada, dopo l’aggiornamento dei dati macro estivi e la valutazione degli sviluppi dei focolai di crisi internazionali, verso la decisione che le condizioni per una svolta dei tassi sono soddisfatte alla vigilia della riunione di settembre.
La previsione dei tassi Fed, in assenza di forward guidance e di nuove proiezioni, sarà basata su tre elementi: 1) le (probabilmente) modeste modifiche che il FOMC apporterà al comunicato nel paragrafo relativo alla valutazione congiunturale e 2) l’evoluzione effettiva dei dati e dei rischi internazionali (Cina e Grecia) fra giugno e agosto e 3) la comunicazione verbale dei partecipanti al FOMC. A nostro avviso, tutti gli elementi dovrebbero segnalare che probabilmente sarà appropriato alzare i tassi alla riunione di metà settembre.
ASSENZA DI NOVITÀ A LUGLIO IMPLICA CHE LA SVOLTA È VICINA
Alla riunione di giugno il FOMC rilevava che le informazioni più recenti “suggeriscono che l’attività economica era in moderata espansione dopo essere stata poco variata nel 1° trimestre”. A metà giugno, mancavano le conferme della crescita del 2° trimestre, e le valutazioni congiunturali sulla prosecuzione della ripresa erano preliminari.
A fine luglio saranno disponibili le informazioni macroeconomiche relative a giugno, con indicazioni complessivamente positive, anche se non stellari. Il consenso Bloomberg prevede crescita del 2,7% t/t ann. nel 2° trimestre e del 3% t/t ann. nel 2° semestre, in linea con le più recenti proiezioni macro del FOMC. Il comunicato dovrebbe registrare evidenza di crescita moderata, spinta da ripresa di consumi e investimenti residenziali, oltre che da una modesta espansione degli investimenti non residenziali nel 2° trimestre.
Il mercato del lavoro ha ripreso a migliorare da maggio, dopo due mesi di marginale peggioramento (l’indicatore delle condizioni del mercato del lavoro stimato dalla Fed ha segnato marginali contrazioni a marzo e aprile, ma è tornato a crescere a maggio e giugno). Il FOMC dovrebbe rilevare il calo del tasso di disoccupazione e la buona dinamica dell’occupazione, in linea con ulteriore moderata riduzione delle risorse inutilizzate. A giugno si segnalava che la dinamica dell’occupazione aveva accelerato, con il tasso di disoccupazione stabile. Il comunicato a luglio potrebbe poi prendere atto di segnali di accelerazione delle retribuzioni evidenti da alcuni indicatori ritenuti più attendibili dei salari orari.
Per quanto riguarda l’inflazione, il comunicato dovrebbe ripetere che la dinamica dei prezzi resta al di sotto dell’obiettivo, anche per via degli effetti di dollaro e petrolio. I dati di giugno non dovrebbero sorprendere: il deflatore core dovrebbe rimanere ancora in rialzo contenuto, senza segnali di tendenza verso il 2%, mentre il CPI continua a espandersi a ritmi più rapidi, con l’inflazione core poco sotto il 2% (1,8% a/a a giugno).
Il differenziale fra le variazioni del CPI e del deflatore si è stabilmente allargato nell’ultimo anno, per via della diversa composizione degli indici. Il maggior peso dell’abitazione nel CPI (abitazione ex-energia: 32,865%, affitti: 7,174%) rende più rilevante l’accelerazione dei prezzi dei servizi abitativi, e in particolare degli affitti (variazioni di prezzo: abitazione, +2,9% a/a, affitti, +3,5% a/a). Nel deflatore, l’abitazione ex-energia pesa il 15,6%, gli affitti il 3,9% La quota dei servizi sanitari nel CPI è pari a 5,997%, mentre nel deflatore è pari al 17,1%; su questa componente c’è una netta divergenza nei trend dei prezzi; 2,5% a/a nel CPI, 0,6% a/a nel deflatore. In particolare, le tariffe delle visite mediche sono in calo di -1,3% a/a nel deflatore, in aumento di +1,6% a/a nel CPI. Il deflatore include nei servizi sanitari anche la parte erogata dal servizio sanitario pubblico: da fine 2014, con l’entrata in vigore a regime di tutte le componenti della riforma sanitaria, è stato imposto un blocco alle tariffe dei medici che partecipano a Medicare, dando luogo a un crollo delle variazioni nel comparto. Questo si riflette nel sentiero divergente dei prezzi dei servizi medici rilevati con il deflatore rispetto a quelli inclusi nel CPI; sugli indici complessivi, l’effetto è amplificato dal maggior peso dei servizi sanitari nel deflatore. Il trend del deflatore è quindi ampiamente influenzato da prezzi calmierati da interventi pubblici, piuttosto che da effetti di domanda/offerta. Fino a inizio 2016, le informazioni del deflatore saranno in parte fuorvianti. La Fed non ha menzionato questo fattore, ma riteniamo che il recente trend verso il basso del deflatore non sembra essere considerato un elemento di freno per un’eventuale decisione di rialzo dei tassi.
In conclusione, il messaggio della valutazione congiunturale dovrebbe confermare i segnali di ripresa moderata già rilevati a giugno ed essere quindi, di per sé, un via libera per un rialzo a settembre, anche se sempre soggetto all’evoluzione dei dati.
L’ECONOMIA È QUASI NORMALIZZATA
“Vogliamo anche essere attenti a non stringere troppo tardi perchè, se lo facessimo, potremmo verosimilmente superare entrambi i nostri obiettivi (…) e poi dovere stringere la politica monetaria in modo molto brusco” (J. Yellen, 16/7/2015)
In assenza di novità di rilievo a fine luglio, una guida per l’interpretazione dei dati in uscita nei prossimi due mesi viene dalla recente comunicazione verbale della Fed (verbali della riunione di giugno, audizioni e interventi di Yellen, Monetary Policy Report e discorsi). I verbali della riunione di giugno hanno ribadito che il Comitato continuerà a decidere “riunione per riunione” sulla base degli sviluppi economici e finanziari. Le condizioni richieste per la svolta dei tassi sono “ulteriore informazione che l’economia si sta rinforzando, che il mercato del lavoro continua a migliorare e che l’inflazione si sta muovendo verso l’obiettivo del Comitato”. Yellen in Congresso ha rilevato che il mercato del lavoro è quasi in uno “stato normale” e che “alcuni segnali preliminari di accelerazione della crescita delle retribuzioni possono indicare che l’obiettivo della piena occupazione si sta avvicinando”.
A giugno, il FOMC voleva non solo maggiori informazioni sulla sostenibilità della ripresa domestica dopo lo stallo invernale, ma anche sull’evoluzione delle tensioni in Grecia e in Cina. La svolta in Grecia e la stabilizzazione dei mercati finanziari in Cina sembrano ridurre i rischi derivanti dal contesto internazionale, che comunque continueranno a essere monitorati nei prossimi mesi. A meno di segni di grave instabilità finanziaria, il FOMC sarà guidato principalmente dall’evoluzione dei dati economici domestici. Il principale collegamento fra evoluzione dell’economia internazionale e politica monetaria USA rimane comunque il dollaro: un eccessivo apprezzamento potrebbe rallentare il ritmo dei rialzi.
In generale, i dati usciti fra metà giugno e fine luglio sono stati omogenei nel segnalare la diffusione della crescita moderata e ulteriore miglioramento del mercato del lavoro. Tra fine luglio e metà settembre, il FOMC avrà a disposizione 2 mesi in più di tutti i principali dati: employment report, ISM, prezzi, consumi,
redditi, ordini e produzione industriale, oltre alla seconda stima del PIL del 2° trimestre. Pertanto, se il flusso di informazioni proseguirà sul trend attuale, ci sarà un ammontare ragionevole di evidenza che la ripresa è consolidata e che il mercato del lavoro è ormai alla soglia della piena occupazione e l’inflazione potrà riprendere a salire in un contesto di riduzione delle risorse inutilizzate. Queste sono le condizioni per la svolta.
Yellen, nelle audizioni in Congresso a metà luglio, ha ribadito che l’evoluzione dello scenario dell’economia USA per ora è coerente con una svolta dei tassi entro la fine dell’anno, pur in presenza di rischi a livello globale. Il Presidente della Fed ha detto che “se l’economia si evolve come ci aspettiamo, le condizioni economiche probabilmente renderebbero appropriato, a un certo punto dell’anno, alzare l’obiettivo dei tassi sui fed funds”, e iniziare la normalizzazione della politica monetaria. Secondo Yellen, aspettare troppo a svoltare potrebbe determinare un overshooting rispetto agli obiettivi di occupazione e prezzi e richiedere un sentiero di rialzi molto ripido, generando turbolenza indesiderata. J. Williams (San Francisco Fed) ha detto che, alla luce dello scenario macro attuale, settembre “è un momento molto plausibile” per la svolta dei tassi, e che anche aspettare troppo a lungo per il primo rialzo pone dei rischi. Il FOMC in generale ritiene opportuno rimuovere lo stimolo monetario “in modo prudente e graduale”.
Se si stanno realizzando le condizioni per la svolta, resta però incerto il sentiero dei rialzi. A giugno, il grafico a punti evidenziava che nel FOMC c’è un consenso molto diffuso per un rialzo dei tassi entro fine 2015; mentre non c’è consenso riguardo al sentiero dei tassi successivo alla svolta. Questo è evidente dalla distribuzione dei “punti” sul grafico: fra i 15 partecipanti che prevedono la svolta nel 2015, 5 vedono un rialzo, 5 ne vedono due e 5 ne vedono tre. Solo due partecipanti ritengono appropriato aspettare fino al 2016 per alzare i tassi.
Alla luce dei discorsi recenti e del fatto che il primo rialzo non avverrà prima di settembre, in base al grafico di giugno, a settembre dovrebbe esserci un consenso relativamente diffuso per due rialzi entro fine 2015. In ogni caso, una svolta a settembre lascerebbe aperta la porta alle due alternative, uno o due rialzi, a seconda dell’evoluzione dei dati, mentre aspettare fino a dicembre precluderebbe questa flessibilità. Gli sviluppi del cambio e la reazione dei tassi alla svolta saranno anche determinanti per il sentiero dei fed funds: restrizione delle condizioni finanziarie attraverso dollaro più forte e rialzi dei rendimenti potrebbero rallentare le decisioni della Fed in autunno.
CONCLUSIONI
La riunione del FOMC di luglio dovrebbe essere interlocutoria, con modifiche al testo del comunicato molto contenute. Il punto centrale della riunione sarà la valutazione dello scenario economico che dovrebbe confermare la ripresa moderata, l’aggiustamento del mercato del lavoro e le previsioni di rialzo dell’inflazione verso il 2% nel medio termine. I dati visti finora sono coerenti con questa valutazione positiva: A settembre, il tasso di disoccupazione potrebbe essere già nell’intervallo di stima del tasso di più lungo termine (5%-5,2%), con indicazioni di accelerazione delle retribuzioni. Il comunicato potrebbe segnalare la presenza di rischi internazionali, e indicare che verranno monitorati. I discorsi più recenti hanno indicato comunque che, per la determinazione della politica monetaria, prevale l’evoluzione dei dati USA.
Le modeste variazioni al comunicato di luglio e l’evoluzione dei dati prepareranno la svolta per settembre. La riunione del FOMC a luglio dovrebbe dare questo messaggio, rassicurando però i mercati con l’impegno ad attuare i rialzi in modo graduale.