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Vi racconto la vita dei cristiani in Siria. Il reportage di Casadei

Le otto chiese di Maloula distrutte e saccheggiate, così come i due santuari. La devastazione ad Aleppo, la Sarajevo di questo decennio, dove si combatte da 3 anni, l’energia elettrica scarseggia e si può rimanere senz’acqua per quasi un mese. Infine la capitale Damasco, dove si convive con il terrore di un attacco delle truppe di Jaysh al-Islam. Sono le tre città della Siria che Rodolfo Casadei, giornalista esperto di esteri e inviato del settimanale Tempi, ha visitato di recente per 7 giorni. Rientrato venerdì scorso dalla sua terza visita in quel Paese devastato dai conflitti, ha pubblicato su tempi.it quattro puntate del suo reportage per raccontare la vita dei cristiani perseguitati in Siria (le trovate qui, qui, qui e qui), mentre giovedì prossimo ne uscirà una quinta nel numero cartaceo del giornale in edicola. In questa conversazione con Formiche.net racconta impressioni ed emozioni di un viaggio in mezzo a un popolo che chiede di non essere dimenticato.

AD ALEPPO, DOVE “SI SPARA GIORNO E NOTTE”

“Non avevo ancora visitato Aleppo, sono ripartito proprio per vedere la nuova Sarajevo dimenticata da tutti”, dice. Dai 2,5 milioni di abitanti di prima della guerra, la “Milano della Siria” è oggi divisa a metà: a ovest la parte governativa con circa 1 milione di persone, a est quella sotto il controllo dei ribelli dove “non credo siano in più di 300mila” ma ci sono le “uniche due fonti di acqua”. “Si spara giorno e notte, da 3 anni c’è una guerra civile molto più intensa che a Damasco, la situazione della vita quotidiana è tremenda”. Ad Aleppo i cristiani “erano un po’ meno di 200mila, dopo l’avvio del conflitto si sono dimezzati scendendo attorno ai 90mila, tutti concentrati nella parte governativa. Metà delle chiese sono andate perdute, distrutte e saccheggiate”. Oltre alla guerra e alla persecuzione da parte delle milizie islamiche ribelli, c’è anche la leva militare del governo a spaventare le famiglie cristiane: scatta a 19 anni, è obbligatoria, e le probabilità di non tornare più a casa sono molto alte.

LA TESTIMONIANZA DI CHI RIMANE

C’è qualcosa nelle comunità cristiane di Aleppo che ha particolarmente colpito l’inviato di Tempi. “Mentre la metà dei fedeli ha abbandonato la città, il 95% dei sacerdoti e dei religiosi è rimasto lì”. Il motivo? “Vogliono mantenere una presenza cristiana in Siria e l’unico modo per farlo è la loro testimonianza di pastori che non fuggono, incoraggiano le famiglie a restare, le sostengono spiritualmente e materialmente”. Casadei parla di “gruppi giovanili capaci di fare comunità in modo commovente. Si aiutano tra di loro, fanno festa, pregano assieme, ben sapendo che ogni giorno trascorso ad Aleppo può davvero essere l’ultimo, dato che si spara giorno e notte”. Dalla Legione di Maria ai centri dei salesiani, fino all’oratorio dei francescani, sono questi i principali gruppi presenti in città. “I sacerdoti – continua Casadei – dimostrano di essere pronti al sacrificio per il loro popolo, sentono che con questa testimonianza si sta realizzando la loro vocazione di pastori e imitatori di Cristo, e lo fanno con una letizia e a volte pure un’esaltazione difficilmente descrivibili”.

QUEI CROCIFISSI COSTRUITI CON I PROIETTILI

Schegge di mortaio, pallottole, bossoli, cartucce. Strumenti di guerra e distruzione trasformati in corredi sacri, in oggetti religiosi. E’ anche così che ad Aleppo dalla morte si risorge alla vita. Succede nella cappella dell’ospedale di St Louis, una struttura privata gestita da un ordine di suore francesi. Casadei ha documentato tutto pubblicando sulla sua pagina Facebook alcune immagini che ritraggono un Cristo in una croce decorata da bossoli, due ceri sorretti dai resti di una bomba di mortaio, un rosario realizzato con le cartucce da sgranare per recitare i misteri. “Una suora italiana ha raccolto tutto questo materiale che si trovava sia dentro l’ospedale che fuori, dato che gli attacchi sono arrivati pure lì, e ha composto un rosario, un crocifisso, i portafiori fino a scrivere la parola pace in cinque lingue con i bossoli delle armi. Il tutto con una cura e abilità artigianali. Guardando quegli oggetti di guerra, questa religiosa ha intravisto una possibilità di bene, di rinascita e di vita”.

L’APPELLO DEI CRISTIANI DI SIRIA

“Tutte le volte che vado in Siria mi sento ripetere la stessa domanda. E tutte le volte non posso che restare zitto, senza risposta”. “Come è possibile che voi europei, che l’Occidente, stia dalla parte di chi ci perseguita?” chiedono i cristiani siriani. “Non posso dire niente a chi ha avuto un figlio o un padre o il marito morto in questa guerra. Questo popolo – dice l’inviato di Tempi – non ama il governo di Assad, è perfettamente cosciente che sia una dittatura, ma vede in questo sistema l’unica forza al momento in grado di salvarlo da una repubblica islamica che lo costringerebbe a fuggire dalla propria terra, che ridurrebbe i cristiani a cittadini di secondo livello, perseguitati fino alla morte”. Pertanto la loro “non è una scelta a favore del governo, ma il riconoscimento dell’unica possibilità di vita. Per questo denunciano l’Occidente che appoggia chi invece della democrazia gli porterà la dittatura religiosa, peggiore di quella politica”. Di fronte a una tale situazione, Casadei rileva una “inadeguatezza di posizione sia della società che della Chiesa italiana. Si è puntato molto sull’aiuto umanitario, si raccolgono giustamente soldi e beni per quei popoli, ma dal punto di vista religioso non è stata ancora avviata una pastorale in Italia sulla testimonianza dei martiri cristiani di oggi, è ancora un argomento periferico”. Dal punto di vista politico invece, “non vedo iniziative e nemmeno la capacità del nostro popolo di mobilitarsi per chiedere alcune cose che andrebbero fatte per aiutare quei cristiani”. La prima: “Togliere le sanzioni al governo siriano, danneggiano solo la popolazione inerme”. Dopodiché, “operare per un cessate il fuoco in tutto il Paese”.


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