Alexis Tsipras ha cambiato ancora una volta gioco, forse con l’obiettivo di scompigliare l’ordine del giorno della riunione dei Capi di Stato e di governo dei 28 Paesi membri della Ue convocati a Bruxelles per il pomeriggio di sabato prossimo.
Le dimissioni del Ministro dell’economia Yanis Varoufakis forse sono state interpretate troppo frettolosamente come un segnale distensivo verso Bruxelles: probabilmente il ruolo di Varoufakis è stato quello di caricare una pistola, quella della ristrutturazione del debito greco, che è politicamente scomoda da usare, visto che, come è giù successo ieri l’altro nel dibattito seguito all’intervento di Tsipras al Parlamento europeo, sarebbe troppo facile accusare i Greci di scaricare il costo della loro crisi sulle spalle di altri incolpevoli cittadini europei.
Se, per un verso, Tsipras ha rinunciato a chiedere una ristrutturazione del debito, per l’altro sta alzando la posta: ha chiesto formalmente all’ESM ed al Fmi di negoziare un nuovo Piano di aiuti, per un importo che non dovrebbe essere inferiore ad una trentina di miliardi di euro. Nella lettera di richiesta, Tsipras si dice disponibile ad approvare la riforma fiscale e ad adottare misure al sistema pensionistico: in pratica, offre le medesime condizioni che gli vengono inutilmente richieste da mesi per procedere allo sblocco di 7 miliardi del precedente Piano di aiuti. Ed in più. Ieri è stato annunciato che il piano di risanamento che il governo greco intende avviare non sarà ammonterà non più ad 8 miliardi di euro, bensì a 12 miliardi. Offre qualcosa in più ai creditori, ma punta ad ottenere da loro molto di più. Forse, anche a farsi dire di no, dopo aver dimostrato disponibilità e concretezza, essendo state diffuse le anticipazioni sull’aumento dell’Iva anche nel settore turistico, e delle imposte sulle società.
Sul tavolo di Bruxelles, domenica prossima, la posta si farà molto più alta: Tsipras non intenderebbe cedere sulle riforme solo per ottenere lo sblocco della tranche dei 7 miliardi, ma per ottenerne almeno altri 30. Messa così la questione, la Grecia avrebbe un vantaggio politico e soprattutto mediatico, perché il diniego del nuovo Piano di aiuti, a fronte della accettazione da parte di Tsipras delle condizioni che gli sono state inutilmente prospettate in questi mesi, farebbe ricadere sulla UE l’intera colpa di una sempre più probabile uscita della Grecia dall’euro.
D’altra parte, le pressioni su Atene non vengono più esercitate sul piano politico ma attraverso la stretta sulla liquidità, di cui la Bundesbank ha chiesto alla Bce di non riaprire il rubinetto, e soprattutto con la chiusura delle banche: si tratta di un vero e proprio stato di assedio che impedisce al sistema economico greco di funzionare, visto che il blocco del sistema dei pagamenti è arrivato alla seconda settimana. Questa è stata la risposta alla convocazione del referendum, ed ancor più ai suoi risultati, che rende assai sgradevole la contrapposizione più volte evocata tra sistema democratico e sistema bancario, mentre è certo che anche quest’ultimo in Grecia è stato fortemente danneggiato dalla crisi, dalla ristrutturazione del debito pubblico decisa con il secondo Piano di aiuti, ed ora da queste due settimane di blocco.
Se è vero che, come ha affermato il Premier Alexis Tsipras al Parlamento europeo, in questi cinque anni la Grecia è stata la cavia per un esperimento mai tentato prima, quello di salvare un Paese dal default del debito sovrano senza una rinegoziazione dei debiti ed una svalutazione della moneta, assisteremo alla prosecuzione del paradosso con cui si identificano i nuovi aiuti alla Grecia con altro debito da distribuire tra i Paesi della Ue. Proprio nel momento in cui la Bce compra mensilmente 60 miliardi di debiti pubblici europei stampando nuova moneta, una liquidità che ristagna nei circuiti bancari avviziti dalla crisi e dal ristagno dell’economia, il divieto di finanziamento monetario degli Stati torna ad essere la regola asfissiante. E’ questo la regola che attanaglia l’Europa e che in questa situazione di crisi sta portando alla esasperazione i cittadini ed al fallimento le imprese.
E’ assai difficile quindi che i Capi di Stato e di governo possano impegnarsi a varare un nuovo Piano di aiuti alla Grecia, anche se era scontato che prima o poi ci si sarebbe dovuto arrivare: la prospettiva di accollarsi altri debiti per salvare la Grecia sarà considerata insostenibile.
Se il senso della tragedia risiede nella contrapposizione tra sistemi e valori inconciliabili, che dilania i protagonisti sulla scena fino al sacrficio della vita, oggi ci troviamo di fronte ad una costituzione monetaria dell’euro che si sta dimostrando inconciliabile non solo con la sopravvivenza della Grecia, ma con quella della stessa Unione europea. Dannare la Grecia non salverà gli altri: questa è la tragedia.