Skip to main content

Ecco la via da seguire per ridurre il costo del lavoro

Bisogna essere strabici per valutare in modo appropriato la questione del costo del lavoro. Un occhio guarda da una parte; l’altro in direzione opposta. Come ammontare assoluto il caso italiano si colloca agli ultimi posti nell’Unione europea; se si considera, invece, il differenziale tra il costo del lavoro e la retribuzione netta l’Italia sale ai primi posti.  Ciò significa che gli aumenti salariali sono parecchio onerosi per i datori ma hanno ricadute modeste in busta paga (il che spiega l’incidenza del lavoro sommerso e dell’evasione).

Ecco perché i livelli retributivi dell’Italia sono più bassi che negli altri principali paesi dell’Unione europea. Secondo dati dell’Eurostat relativi alle imprese dell’industria e dei servizi privati la retribuzione media oraria, a parità di potere d’acquisto, si colloca  tra il 30 e il 40 per cento inferiore rispetto ai valori di Francia, Germania e Regno Unito. Eppure si continua a parlare del costo del lavoro come se fosse un’escrescenza anomala, quando invece ogni euro versato dai datori o prelevato dalle buste paga dei lavoratori va diretto allo scopo o di sostenere la fiscalità generale o di finanziare il modello di welfare all’italiana, dopo che negli anni passati i Governi hanno fiscalizzato tutto quanto era possibile dei c.d. oneri impropri.

Peraltro, quello della fiscalizzazione è un terreno irto di insidie, perché, giustamente, l’Unione europea è molto guardinga e severa nel sanzionare, in nome della libera concorrenza, gli aiuti di Stato alle imprese. La via principale da seguire è un’altra: adottare le misure opportune per ridurre il costo del lavoro per unità di prodotto (il Clup) che in Italia è molto elevato. Sarebbe ingeneroso caricarne la responsabilità soltanto sui lavoratori. Per tanti motivi che non riguardano soltanto l’organizzazione del lavoro e l’apporto dei lavoratori, l’Italia  si trova in una posizione svantaggiata rispetto ai Paesi con cui è in competizione.

Se consideriamo le variazioni percentuali medie degli anni duemila (poi la Grande Crisi ha determinato assetti ancor più destabilizzati)  possiamo notare un incremento di produttività del 5,2% negli Usa, del 3% nel Regno Unito, dell’1,8% in Germania, del 2,5% in Francia e solo dello 0,4% in Italia (un dato inferiore persino all’1,5% della Spagna). Diversamente, nello stesso periodo la variazioni  percentuali medie dei salari reali dell’industria hanno dato i seguenti riscontri: Usa +1,3%, Regno Unito +1,6%, Germania +0,5%, Francia +1,3%, Italia +0,9%.

In sostanza, in Germania i salari reali sono cresciuti meno della produttività, da noi più del doppio. Lo stesso discorso vale per il costo del lavoro che in Italia è aumentato un punto in più che in Germania (3,1% rispetto a 2,1%). Ma ciò che è più significativo è, appunto, il Clup nel settore manifatturiero (la cui capacità di export  dipende dal grado di competitività);  la  variazione  percentuale media annua, in quello stesso periodo, è stata dello 0,2% in Germania, dello 0,6% in Francia e del 2,7% in Italia.

Se poi consideriamo il Clup riferito all’intera economia otteniamo uno 0,4% della Germania contro un 2,6% del nostro Paese. Al dunque, un differenziale di 2,2 punti che sono diventati  2,5 nel settore manifatturiero. In sostanza, si stima che l’Italia abbia  perso trenta punti di produttività rispetto alla Germania, che all’inizio del primo decennio era ritenuto il ‘’grande malato d’Europa’’ e che, invece, ha saputo farcela attraverso le riforme del welfare e del mercato del lavoro e grazie ad un modello di relazioni industriali che non si è sottratto ai sacrifici necessari.

Diventa sempre più importante spostare il peso della contrattazione a livello decentrato e realizzare una forte detassazione delle voci che, a livello aziendale, remunerano la produttività e favoriscono, così, la competitività. Ovviamente, occorre darsi delle priorità. Potenziare e consolidare gli interventi che servono all’occupazione e al miglioramento della qualità del lavoro è sicuramente una scelta più conveniente della detassazione della proprietà immobiliare.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter