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Tutte le contraddizioni dell’alleanza anti Isis voluta da Putin

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Alberto Pasolini Zanelli apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Mosca rompe il suo digiuno diplomatico sul Medio Oriente. E propone niente meno che una Grande alleanza per il Medio Oriente che comprenda i Paesi arabi aggrediti dagli estremisti del Califfo e della risorgente Al Qaida assieme ai loro protettori e sostenitori. Tutti, e dunque Iraq e Siria, la Turchia e i curdi, la Russia e l’America.

Un disegno arduo e non privo di contraddizioni. Lo discute in questo momento il ministro degli esteri, Sergei Lavrov, con il collega saudita Adel al-Jubeirin. Due giorni prima egli aveva avuto un colloquio sullo stesso argomento con il segretario di stato americano John Kerry nella capitale del Qatar. Nel breve intervallo egli ha lanciato, in un discorso televisivo, la forma e la sostanza di una proposta del Cremlino che tende ad allargare la coincidenza di interessi e soprattutto di comune difesa contro i due estremismi concorrenziali (Isis e Al Qaida). Il cardine del piano è la proposta di completare un’alleanza fragile e contraddittoria che già c’è fra i «moderati» del mondo arabo, gli interessi dell’Occidente e quelli comuni al mondo.

Soluzione fragile e contraddittoria, che però è da tempo in atto in diversi punti del vasto scacchiere mediorientale, anche se a intermittenza e spesso negato dai governi che ne fanno parte e che per un cumulo di motivi che vanno dagli interessi petroliferi e finanziari al fattore forse predominante delle opportunità politiche domestiche. I casi più frequenti riguardano la Siria, dove i combattimenti sono più frequenti e impegnativi e dove sono presenti sul terreno quasi tutti gli stati e le organizzazioni di quella parte del mondo: da una parte le due internazionali del terrore islamico, dall’altra i loro nemici, dai governi di Damasco e di Baghdad, dalla Turchia agli indipendentisti curdi, dall’Iran agli Stati Uniti. Con episodi rivelatori e pittoreschi in modo allarmante.

Gli ultimi riguardano la geografia bellica: da una parte Isis e Al Qaida, dall’altra gli Stati Uniti e i loro alleati anche europei ma fino in fondo soltanto britannici, dall’altra parte i sostenitori del regime siriano e del governo iracheno, i curdi e, ultimo arrivato e in posizione più ambigua, la Turchia. Che ha firmato un accordo con Washington che apre gli aeroporti di Anatolia agli aerei militari Usa, ma nel contempo legalizza la strategia di Ankara che dal territorio nazionale fa partire gli attacchi alle basi curde, impegnate, nei due Paesi arabi, nelle più robuste operazioni militari contro i terroristi. Turchi e curdi hanno entrambi profondi motivi storici di antagonismo, soprattutto i secondi nel centesimo anniversario delle stragi, dal sapore di olocausto, organizzate dai primi per eliminare i secondi. Turchi e curdi sono alleati ma sono in guerra gli uni con gli altri, anche se Ankara dichiara di limitare, almeno per ora, le sue operazioni a una delle fazioni curde, quella di sinistra, il Pkk, mettendo la sordina alle altre contro la più robusta fazione moderata.

A non molta distanza, la contraddizione si riaffaccia coinvolgendo più direttamente l’America. Il Pentagono ha dovuto accettare una spartizione di fatto di un aeroporto militare con le forze fedeli al dittatore di Damasco, Assad e reparti di Hezbollah, una «milizia» di obbedienza iraniana e che gli Stati Uniti considerano ufficialmente terroristica. Per fortuna si tratta di un aeroporto molto vasto e quindi i soldati non sono costretti a «dormire con il nemico» assieme al quale alla mattina dopo ricominciano a combatterlo, seppure con operazioni parallele e a volte in concorrenza.

È su questi episodi, e altri forse più frequenti ma più agevoli da coprire in qualche modo che la Russia fonda la sua proposta. Che è l’invito agli americani e agli altri di «riconoscere la realtà» e trasformare questa surreale mescolanza e ambivalenza tra amici e nemici. In sostanza, Putin chiede a Obama di riconoscere che il nemico sono le organizzazioni terroristiche islamiche e che tutti coloro che le combattono sono di fatto alleati. Una volta che lo riconoscessero potrebbero operare più efficacemente non certo fondendosi ma coordinando le loro operazioni alla luce del sole. Se sarà troppo difficile passare da una alleanza vera e propria, dovrebbe essere accettato uno stato di co-belligeranza, di cui si trovano numerosi precedenti nella storia, particolarmente nel ventesimo secolo.


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