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Vi spiego il groviglio normativo sulle scatole nere

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Franco Pizzetti (qui si può leggere la prima parte)

L’uso di scatole nere a bordo di veicoli collegate con GPS è cosa che non può avvenire senza discipline e garanzie precise, perché troppo elevati sono i rischi.

Pericoli oggi aggravati dal fatto che, come già è accaduto in più di un caso, famosissimo quello recente che ha costretto FCA a ritirare un numero molto alto di jeep dotate di collegamenti satellitare e di tecnologie di avanguardia, gli hacker possono usare i collegamenti GPS per entrare nei sistemi con questi connessi, rubandone o modificandone i dati e, in alcuni casi, anche alcune modalità di funzionamento e alcuni comandi della macchina. Di qui l’obbligo di denunciare una situazione che, utilizzando la fragilissima base normativa dell’art. 49 della l. n. 120 del 2010, impone spesso agli automobilisti, e a loro carico, apparecchi sofisticati, costosi e anche potenzialmente molto pericolosi.

Vi sono poi ulteriori problemi, questi relativi all’uso dei dati in caso di sinistri, che solo un intervento normativo può superare. Nella mancata attuazione della normativa richiamata, non è chiaro quale sia il valore giuridico dei dati raccolti dalla scatola nera quando si vuole farli valere nel corso di un processo finalizzato a definire la responsabilità dei veicoli coinvolti. Il che rende ancora meno conveniente l’uso della scatola nera da parte di chi sia incorso in un incidente non per sua colpa. Nella confusione giurisprudenziale in materia di utilizzabilità di questi dati è possibile persino che il loro utilizzo da parte avversa conduca al determinarsi di una situazione negativa per chi sia rimasto coinvolto nell’indicente per esplicita colpa altrui.

A questo problema, ben noto alle assicurazioni, si è tentato di dare una risposta col decreto legge n. 145 del 23 dicembre 2013 (emanato, si noti, quasi nel medesimo spazio temporale in cui Ivass rinunciava ad adottare il regolamento previsto dalla legislazione vigente). Questo decreto legge, finalizzato esplicitamente a definire meglio il valore giudiziale dei dati raccolti dalle scatole nere, conteneva un articolo, specificamente dedicato alla materia delle assicurazioni R.C. auto.

L’art. 8 di questo decreto, infatti, interveniva nuovamente sull’art. 132 del Codice delle assicurazioni, prevedendo tre cose:

a) che le imprese potessero (non dovessero) proporre all’assicurato l’installazione di scatole nere aventi i requisiti del Regolamento dei Trasporti già adottato in base all’art. 32 della legge n. 27 del 2012;

b) che l’installazione della scatola nera fosse a carico delle imprese;

c) che il premio dovesse avere una “riduzione significativa” e, nel caso di stipula con un nuovo assicurato, “non inferiore al 7%”.

Inoltre il comma 1 bis dell’art. 132, come modificato alla legge n. 27 del 2012, veniva nuovamente modificato, proprio al fine di chiarire meglio la portata giudiziale dei dati raccolti.

Si stabiliva, infatti, che quando (e solo quando) “uno dei veicoli coinvolti in un incidente risulti dotato di un dispositivo elettronico che presenta le caratteristiche indicate dalla l. n. 27 del 2012, allora “le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento del dispositivo”.

Insomma l’art. 8 del d.l. 25 dicembre 2013 n. 145, da un lato prevedeva alcuni vincoli per l’assicuratore, quali l’impianto a suo carico e sconto vincolato del premio in caso di primo assicurato, dall’altro dava effetti probatori certi nel giudizio civile per danno nel caso in cui uno dei veicoli fosse dotato di scatola nera. Lo stesso articolo però faceva salva tutta la normativa contenuta su questo punto nell’art. 32 della l. 24 febbraio del 2012, il che rende ancora più grave la inadempienza di Ivass nella mancata emanazione del regolamento di sua competenza. Senonché, forse anche per i costi a carico delle imprese, questo articolo non piacque, fu accantonato e, in sede di conversione, soppresso.

Allo stato dunque ci continuiamo a trovare in una situazione che definire lunare è poco. Norme di ottima fattura tuttora vigenti (quelle del d.l. 1 gennaio 2012 n.1 convertito con l.n.27 del 2012) non applicate. Tipologie di scatole nere che, per prestazioni richieste, vanno ben oltre quanto previsto dalla inattuata normativa in vigore, e comunque in via generale non rispettano profili essenziale della protezione dati personali. Assoluta incertezza circa gli effetti giuridici dei dati raccolti dalle scatole nere. Verrebbe da chiedersi dunque perché nessuno, né tra le assicurazioni e le loro associazioni, né tra le organizzazioni a tutela dei consumatori, si adoperi affinché le norme siano applicate, e questa incredibile situazione, che certo non ci onora agli occhi dell’Europa, sia rimossa.

Per completezza merita far cenno anche alle norme in materia di assicurazioni contenute nel DDL Concorrenza, presentato dal Governo Renzi il 20 febbraio 2015.
IL Capo I, dedicato appunto alle Assicurazioni, per un verso conferma la validità della normativa dell’art. 32 della l. n. 24 del 2012 e per l’altro complica ulteriormente la situazione.

Da un lato all’art. 3 si modifica l’art.132 ter del Codice delle assicurazioni obbligando queste a garantire sconti obbligatori nel caso in cui vengano installati su proposta dell’impresa o siano già presenti meccanismi elettronici che registrano l’attività del veicolo, prevedendo a tal fine un nuovo decreto del Ministero dei trasporti di intesa con lo Sviluppo economico che stabilisca i criteri tariffari anche con rifiermento alla responsabilità dei sinistri.(art. 3 modificativo art, 132 ter lettr b)

Da un altro lato, stabilisce, sempre al comma 3, che nel caso in cui il veicolo sia dotato di scatola nera o questa debba essere installata, “la riduzione di premio praticata dalla compagnia è superiore agli eventuali costi di installazione, disinstallazione, sostituzione e funzionamento sostenuti direttamente dall’interessato”.

L’aspetto più interessante del DDL concorrenza è però all’art. 8. In questa norma, nel disciplinare il valore probatorio delle scatole nere e degli altri dispositivi elettronici si riscrive, per senza richiamarlo, l’art. 8 del d.l. 23 dicembre 2013 n. 145, a suo tempo accantonato.

Una norma che di fatto torna così a rivivere proprio nella parte in cui stabiliva che i dati raccolti costituiscono prova, salvo dimostrazione che lo strumento non funzionava, solo a condizione che essi siano raccolti e trattati ai sensi dell’art. 132-ter comma 1 lettere b) e c) nonchè dell’art.32, commi 1-bis e 1-ter del decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012 n.27.

Sembra insomma di essere dentro un eterno giro dell’oca che costringe sempre a tornare al punto di partenza. Un regolamento Ivass, previsto già dal decreto legge n. 1 del 2012, convertito in legge 24 marzo 2012 n.27, continua a mancare, ma la norma che lo prevede continua a essere richiamata, sia pure attraverso un richiamo per relationem anche nel nuovo art. 8 del DDL Concorrenza del 20 febbraio 2015.

Che conclusioni trarre da tutto questo?

Come cittadini dobbiamo riconoscere che viviamo in un Paese nel quale le leggi, specialmente di settore o di microsettore, si aggrovigliano l’una all’altra. Con la conseguenza che, lungi dal semplificare l’ordinamento, lo si complica in continuazione, fino a riservare di fatto la sua conoscenza a un numero ristretto e altamente professionalizzato di super esperti.

Come consumatori dobbiamo denunciare che siamo indifesi e privi di ogni tutela, anche da parte delle organizzazioni che pure campano sull’erigersi a tutela dei consumatori (unica lodevole eccezione, ma solo in tempi recentissimi, il Codacons).

Come esperti di protezione dei dati personali, siamo indignati, allibiti e anche un po’ vergognati di come il nostro Paese tutto, dai cittadini alle imprese alla classe politica, non dia alcuna importanza a questa materia, malgrado la solerzia dimostrata, anche in questo caso dal Garante. Né possiamo applicare, rispetto alle assicurazioni italiane e alle loro associazioni e a chi dovrebbe vigilare su di esse, una frase che detta da Gesù in punto di morte è tuttavia frequentemente usata anche nel parlare comune: “Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Purtroppo lo sanno benissimo, e anche quando si cerca di spiegare loro i pericoli che fanno correre ai loro assicurati, se ne ha in cambio soltanto un cortese e distratto disinteresse.

Ma se nella Germania di Federico di Prussia il mugnaio poteva dire: “Ci sarà ben un giudice a Berlino” (e lo trovò), un ex Garante che, teme talvolta di abbaiare inascoltato alla luna potrà bene dire “ci sarà pur sempre un cittadino in Italia” (e magari lo troverà anche). Recentemente interventi puntuali su questi problemi fatti da Federprivacy e l’attenzione che questa organizzazione dimostra a questi temi, fa ben sperare. Essa testimonia, infatti, che di cittadini attenti a questi temi ve ne sono sempre di più.

La speranza è che anche questo articolo possa aiutare a tal fine.

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