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FCA e non solo. Ecco cosa succederà all’automotive

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’intervista di Luciano Mondellini uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

Negli scorsi giorni in Senato si è tenuto un convegno sul settore Automotive sulla base di una ricerca promossa dalla commissione industria di Palazzo Madama, presieduta da Massimo Mucchetti, e curata da Unioncamere e Prometeia. Un dibattito che si è immediatamente segnalato come il primo dopo che per tanto tempo si è lasciato il settore al dibattito giornalistico e a valutazioni di parti politiche spesso pregiudiziali.

Nel punto conclusivo, ma centrale nelle sue considerazioni, Mucchetti ha sollevato l’interrogativo se impiegare o no risorse pubbliche in un comparto che è cruciale per l’economia italiana non solo per il moltiplicatore tecnologico ma anche occupazionale. Difficilmente, ha spiegato infatti la ricerca, il mercato italiano tornerà presto sopra i 2 milioni di vetture vendute nell’anno, come accadeva prima della recessione. Quindi, senza un forte incremento delle esportazioni, la produzione italiana incontrerà i limiti del mercato interno.

Ecco, allora l’importanza di accrescere la capacità di esportazione e all’uopo di investire nel settore, che però deve fare i conti con l’essere affidato a una sola impresa con i suoi vincoli patrimoniali. Nuovi piani di sviluppo di Fca sono, certo, possibili, ma probabilmente non basteranno. Soprattutto in considerazione delle numerose perplessità circa il piano industriale del Lingotto e la sua ricerca di una fusione con un altro costruttore per resistere nella competizione internazionale.

Le ricadute tecnologiche e occupazionali del sostegno pubblico all’industria dell’auto, ha osservato il presidente della commissione industria, sono significative. Perciò, immaginare un supporto pubblico per espandere l’industria in questione non è una bestemmia, senza trascurare la possibilità di attrarre investimenti non italiani, come è accaduto a Torino con General Motors che ha aperto nel campus del Politecnico un centro di ricerca o a Sant’Agata Bolognese con la costruzione del nuovo Suv Lamborghini in virtù dei 100 milioni di incentivi statali garantiti al luxury brand controllato da Volkswagen dal governo italiano. Il settore è inoltre rilevante, per l’importantissimo mondo della componentistica. Dunque, si può dire che si pone, partendo dall’Automotive, una vera e propria questione industriale. ItaliaOggi ne ha parlato con Riccardo Ruggeri, fine editorialista, «operaio, figlio e nipote di operai Fiat» che nel corso della sua carriera manageriale è cresciuto sino a diventare amministratore delegato di molte aziende del Lingotto, nonché ora tra i più acuti osservatori dell’universo Fca e dell’automotive italiana.

Dal Report su «L’Automotive nei principali paesi europei», si evince come il settore sia stato e possa ancora essere un fattore di crescita, a patto che le politiche industriali di accompagnamento siano efficaci e sgombre da pregiudizi. Perché, al di là degli effetti depressivi della domanda, determinati dall’austerità, la produzione di automobili è calata in Italia più che negli altri paesi?

Osservando certi indici statistici, si possono fare alcune considerazioni:

a) siamo gli unici in Europa ad avere da sempre un solo produttore. Inoltre, Fca ha pure cambiato il suo baricentro industriale, e non è ancora chiaro quale sarà il suo destino strategico;
b) dagli anni 80 in avanti Fiat ha commesso molti errori strategici, tecnologici, gestionali, di immagine;
c) molti politici tendono ancora oggi a svalutare l’importanza dell’Automotive nell’economia, a vantaggio di altri investimenti pubblici, spesso ideologici (per esempio, le rinnovabili);
d) la massa critica per operare con successo nel mondo dell’Automotive si è fatta sempre più rilevante, gli investimenti »stand alone» non sono più sufficienti per un ritorno competitivo;
e) la componentistica, per anni considerata «a rimorchio» delle fabbriche di produzione auto, è invece il cuore dell’Automotive, qui risiedono creatività, spirito imprenditoriale, innovazione tecnologica, specializzazione, ma di fatto è anch’essa senza massa critica, salvo pochissime eccezioni (Magneti Marelli). Gli «specialisti» (tipo Brembo) fanno storia a sé. Da anni la struttura dell’Automotive italiana si è indebolita, molti imprenditori si sono allontanati per alcune note rigidità «hard» del sistema paese e altri fattori «soft».

Quali risorse nazionali e internazionali il Paese sarebbe in grado di mettere in campo nell’Automotive?

È la domanda chiave. Una ripartenza dell’Automotive italiana che metta insieme la base eccellente, ma frastagliata della componentistica e una struttura produttiva completa (includendo, perché no, le fabbriche cacciavite), può produrre effetti superiori a qualsiasi altro investimento industriale. Occorre però una visione di medio/lungo termine, dove le risorse finanziarie private vengano supportate dalle strutture e dalle risorse finanziarie pubbliche, in una strategia industriale ed economica condivisa.

Meglio non parlare più di «aiuti». Le immissioni finanziarie pubbliche a supporto del privato sono importanti per il sistema economico complessivo, ed è giusto che debbano avere un ritorno misurabile, e non solo finanziario. Un solo esempio, l’incremento dei posti di lavoro. In altri termini, il moltiplicatore occupazionale di un investimento nell’Automotive e ciò che ne deriva, è molto più alto rispetto ad altri interventi, considerando anche che l’Italia può far leva su un know how tecnologico e su un capitale intellettuale di prima qualità.

Che cosa si può concretamente fare in Italia per favorire la crescita economica attraverso l’Automotive?

Per ottenere risultati consolidati nel tempo, le risorse pubbliche dovrebbero essere dirette sia verso le aziende dell’Automotive che soddisfino requisiti tecnologici e manageriali di eccellenza, sia verso l’incentivazione di aggregazioni societarie, affinché questi nuclei possano trovare massa critica e operare con sinergie adeguate alla competitività internazionale. Il know how italiano nell’Automotive, ora dormiente, può essere rivitalizzato con maggior apertura agli investitori stranieri. Non occorre inventare formule o incentivi ad hoc, occorre invece stabilizzare lo scenario dei fattori istituzionali, culturali, economici e fiscali, perché l’investimento sia visto come affidabile.

Suggerisce quindi di attrarre in questo modo anche case automobilistiche straniere?

Ci sono già investimenti di case straniere in Italia, attratte dal know how disponibile in Italia. Non mi scandalizzo per un eventuale supporto indirizzato all’Automotive, lo fanno tutti i paesi, ormai il sistema è globalizzato e vince chi ha più competenze, chi produce innovazione, chi usa adeguate risorse finanziarie. Spesso, semplicemente, chi ci mette più buon senso e più passione. Nell’Automotive italiano si apre un periodo molto interessante, prossimamente molti nodi troveranno il loro pettine. Ne potremmo vedere delle belle.

Non ha la sensazione che in Usa il vento verso Fca stia cambiando?

Sì, ma è normale, vale per tutti, lì vige una regola implacabile: i piani devono essere rispettati. Appena dieci mesi fa, con Fca quotata a Wall Street pareva che tutti i giochi fossero fatti per i prossimi quattro anni, il piano era chiaro, sfidante, i risultati attesi straordinari. Scrissi che occorreva mettersi in poltrona, un controllo annuale sullo stato di avanzamento, e attendere il 2018. Invece no, dopo sei mesi i ragionamenti (pubblici) dello stesso Marchionne su un non meglio precisato «consolidamento globale», sono stati destabilizzanti in termini di strategia. Secondo le attese in termini economici (male il 1°, molto bene il 2° trimestre), ecco allora fioccare le domande di prospettiva. Perché parla di consolidamento con GM se questa lo snobba? Che riflessi sul piano? Che cosa succederà con la separazione Fca Ferrari (a parte l’ovvia valorizzazione della stessa)? Riuscirà Fca a entrare nel perimetro GM, e se sì in che modo? In quel caso, dovremmo chiederci noi italiani: che cosa succederà a livello occupazionale dei reciproci stabilimenti europei? Se non avvenisse il «consolidamento», che succederebbe? E si potrebbe continuare, con i modelli Premium, con le altre opzioni strategiche sul tavolo.

Dopo le parole di Marchionne, non possiamo rimanere in poltrona, rimettiamoci a fare il nostro lavoro di analisti, e come investitori stiamo in campana. Nel campo dell’Automotive italiano, nel prossimo biennio come si dice nel calcio, «importante sarà muovere la classifica». Sono certo che Renzi su questo tema darà il meglio di sé, perché lì c’è l’unica «ciccia» pregiata di cui ha, e abbiamo, un disperato bisogno: il lavoro.



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