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Perché Renzi deve fare di Cdp il perno degli investimenti in Italia

In questo momento storico complesso, sia per la rimodulazione geopolitica globale sia per le scelte cui la Ue deve far fronte per la propria sopravvivenza, per l’ Italia si fanno sempre più stringenti le esigenze di una rivisitazione del ruolo che celermente essa deve ricoprire su due fronti: il consolidamento dell’infrastruttura economico-finanziaria interna e la riattivazione di una cabina di regia diplomatico militare, che possa far fronte alla guerra di riposizionamento degli equilibri nello scenario geostrategico, anche alla luce di una futura integrazione di blocchi economici sinora resi marginali dalle dinamiche finanziarie globali.

Partendo dal primo punto non possiamo non evidenziare che il grande rilancio della capacità strategica del consolidamento interno del Paese passa da una serie di scelte non più rinviabili. Se è vero che il governo Renzi vuole a tutti i costi abbassare la pressione fiscale e rimodulare le tasse che opprimono qualsivoglia attività economica e gli investimenti delle famiglie, bisogna affrontare il nodo delle scelte che il nuovo board della CDP farà su mandato politico da un lato, finanziario e sistemico dall’altro. La Cassa è il cuore di tutte le partite degli investimenti sociali in Italia.

La collocazione in borsa di azioni di Poste Italiane determinerà una speculazione a medio termine se non si attivano due variabili di consolidamento della CDP mediante un rafforzamento del sistema bancario e degli investimenti strutturali nazionali e regionali. CDP, in quanto holding del Tesoro, non può che essere perno della ricapitalizzazione del Gruppo MPS, divenendone azionista di riferimento e partecipare alla ricollocazione della Banca del Mezzogiorno (ex MCC), di Dexia Crediop e del Fondo Strategico Italiano (FSI), braccia operative nel panorama delle multiutility, degli investimenti infrastrutturali dei fondi Juncker/BEI e in quello dell’agevolazione creditizia per le imprese strategiche del centro e sud Italia.

Il Gruppo MPS è l’unico operatore bancario nazionale che ha mantenuto un sistema di prossimità territoriale secondo criteri socio-economici, pur essendo gravato finanziariamente da perdite strutturali. E’ il secondo gestore delle tesorerie degli enti pubblici italiani, dispone di capitale umano e professionale invidiato dalle concorrenti, ed è l’unica banca al mondo a possedere un patrimonio artistico e immobiliare che è stato sfruttato poco e male, se non svenduto in parte per coprire i bilanci degli ultimi anni. Senza dimenticare poi le capacità sui mercati internazionali, che fino a qualche anno fa venivano gestiti in modo efficace da tutta la rete di imprese e dalle società di private/wealth management che furono acquisite a Firenze.

La Banca del Mezzogiorno aveva una proiezione di rilancio delle economie regionali depresse dalla crisi del 2008. Era stata riattivata quale catalizzatrice dei servizi di finanziamento alle imprese che i fondi nazionali e comunitari garantivano alle regioni Obiettivo 1, anche prevedendo la capacità di operare con propri sportelli sui territori. Invece politicamente si è preferito dare priorità alle società finanziarie delle Regioni, poco produttive nel sistema depresso del Mezzogiorno. Per molti osservatori non solo queste non compartecipano ad investimenti in aziende secondo criteri di mercato, ma offrono servizi deficitari sotto ogni punto di vista finanziario.

La soluzione sarebbe quella di divenire soci di maggioranza di queste società e iniziare a sviluppare una politica d’investimenti industriali, dall’agricoltura alle piccole manifatture ad alto indice di esportazione, facendo in modo che vaste aree ancora non sviluppate dal punto di vista commerciale e turistico vengano rimesse all’interno del ciclo produttivo nazionale.

Sace, Simest, Dexia Crediop potrebbero amplificare l’effetto delle politiche economiche supportando un sistema integrato di garanzie volte ad incrementare l’export, gli investimenti e la riqualificazione degli indici produttivi e occupazionali. FSI in tal caso gestirebbe la trasformazione delle infrastrutture su tutto il territorio nazionale con criteri di strategicità e priorità, dalle reti alle ferrovie, dalle multiutility ai trasporti, sino a spingersi sulle società di eccellenza nel settore della sicurezza cibernetica e di servizi tecnologici avanzati, integrando in tal modo le capacità di rete con le altre società controllate indirettamente dallo Stato.

Poste Italiane, dopo la collocazione in borsa, diverrebbe primario azionista del Gruppo MPS e amplierebbe l’offerta sui servizi assicurativi alla rete dei propri sportelli, diventando un primario attore europeo nella gestione del risparmio e delle garanzie patrimoniali personali. Al contempo CDP migliorerebbe i servizi di tesoreria e fornirebbe maggiori ed efficaci servizi finanziari alle casse degli enti locali, rafforzandone il patrimonio mediante richieste di consolidamento del patrimonio e delle correlate garanzie di servizio di primaria utilità. Cosi avremmo il beneficio di indurre una maggiore responsabilità nella gestione di comuni, regioni e altri enti pubblici, riducendo il gap nazionale delle performance gestionali amministrative.

Ecco poi il secondo punto su cui lavorare strategicamente, quello dell’amplificazione della capacità diplomatico-militari su differenti canali di negoziazione e raccolta di consensus informativo. Ciò potrebbe permettere al Sistema Paese di competere con tutti gli strumenti utili alla rimodulazione delle strategie di riposizionamento economico-finanziario globale. Basti pensare al terreno perso sui Balcani occidentali fino al Mar Caspio, in Africa Centrale ed in Sudamerica, dove si giocheranno tante sfide economiche globali. Se il governo Renzi avrà il coraggio di mettere in sicurezza il sistema economico industriale italiano non dovrà temere nulla, anzi darebbe il via ad una nuova pax economico sociale con l’Italia tutta.


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