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Ecco le 3 vere questioni della prossima Legge di Stabilità

Come sempre, nell’ultima settimana di agosto, spesso ancora prima del rientro del governo dalle vacanze, inizia (all’interno dell’esecutivo e con l’opposizione), il dibattito sul documento di economia e finanza e sulla legge di stabilità. Non si svolge soltanto in Italia, ma a ragione delle regole del “semestre europeo”, si tiene in parallelo in quasi tutti gli Stati dell’Unione Europea.

Ancora prima del semestre europeo, l’Italia aveva un calendario simile a quello di altri Stati dell’UE, specialmente a quello della Francia, che ha un rapporto tra debito pubblico e Pil inferiore al nostro ma un rapporto tra indebitamento delle pubbliche amministrazioni e Pil notevolmente superiore al nostro, tanto da essere incorsa in “procedura d’infrazione” e, quindi, sotto monitoraggio vigile dell’UE.

Interessante notare che mentre sembriamo essere ai prolegomeni della preparazione della legge, e ministri sono alle prese con monologhi alterni, l’8 luglio in Francia la Commissione Finanze e Tesoro ha già definito il calendario dei lavori e i nomi dei relatori. In Francia, si è anche risolto il nodo centrale: come organizzare e scaglionare nel tempo la misura più difficile, il prelievo alla fonte dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (invece di ex post, ogni trimestre, in base ad una documentazione ben definita). La Francia ha anche deciso che, in barba al Trattato di Maastricht ed al Fiscal Compact, anche nel 2016 sforerà i parametri concordati a livello comunitario.

Per l’Italia, la situazione si presenta differente da quella nei nostri cugini d’Oltralpe. E’ importante individuare il nocciolo della questione dalla marea di dichiarazioni di questi ultimi giorni. In breve:

– Nonostante le dichiarazioni ottimistiche del ministro dell’Economia e delle Finanze (il quale ha comunque il compito di tenere alto il morale della truppa), il debito pubblico minaccia di diventare sempre di più il problema cruciale del Paese. Principalmente a ragione di una crescita economica molto bassa e fortemente inferiore alle previsioni del governo, il rapporto tra debito e Pil è in continuo aumento. Ciò frena la crescita. Anche se oltre la metà è in mano a istituzioni e famiglie italiane, potrebbero avvertirne il rischio e destinare altrove i loro risparmi (specialmente alla luce di una minacciata stangata sulle successioni). Ove ciò non bastasse, dall’autunno i tassi d’interesse Usa potrebbero aumentare. Aggravando il servizio del debito dell’Italia. E rendendo più difficile qualsiasi flessibilità.

– Da ormai quindici anni, l’investimento pubblico è a livelli rasoterra. Ciò ha implicazione di breve periodo sull’occupazione dei fattori di produzione e sulla maggiore utilizzazione della capacità produttiva, ma soprattutto di medio e lungo periodo sulla produttività. Il livello ormai inesistente o quasi della creazione di nuovo capitale sociale è ormai un’ipoteca molto grave sulle generazione future. Più grave di quella delle così dette “pensioni d’oro”.

– Nonostante il succedersi di spending review da parte di commissari che sembrano entrare ed uscire dalla “comune” (come si diceva in gergo teatrale) al pari di quanto avveniva nelle commedie degli Anni Trenta, la spesa di parte corrente continua a crescere.

Questi tre temi devono essere posti al centro del dibattito. La strada è certamente impervia ma sarà inconcludente se non si riduce il debito pubblico (non mancano le proposte; il Cnel ne ha raffrontate una dozzina), se non si rilancia la spesa pubblica in conto capitale (facendo buon uso delle risorse del Piano Juncker e della partnership con i privati, anche stranieri) e se non si taglia in modo rigoroso la spesa pubblica di parte corrente.


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