E’ un gioco a somma negativa, quello innescato dall’Eurozona con il Fiscale Compact. Stiamo contagiando l’intera economia mondiale, coinvolgendola in una spirale deflazionistica senza fine. Il rallentamento della economia cinese ormai è scontato, con le esportazioni in caduta: la svalutazione dell’euro non ha avvantaggiato il nostro export mentre ha seriamente depresso quello di Pechino. Visto che è una economia di trasformazione, anche l’import cinese dai Paesi produttori di materie prime è andato giù, con i prezzi ai minimi trentennali. Anche il Mercosur paga dazio, ed il giro ricomincia.
IL CONFRONTO CON IL 2008
Il crollo del prezzo del petrolio, dimezzato dai valori di agosto 2014,, ora sta innescando una nuova fase di deflazione dei prezzi, di cui i consumatori occidentali beneficiano molto limitatamente. Tra i prezzi al consumo e quelli dei mercati c’e di mezzo un mare di finanza: dietro il calo di questi giorni c’è lo smobilizzo di ingenti investimenti speculativi: la ripresa si allontana e di petrolio in giro ce n’è troppo. i prezzi cedono. D’altra parte, la crisi del 2008 fu preceduta da una fiammata dei prezzi del petrolio che fece salire l’inflazione e di seguito i tassi di interesse a questa collegati: fu così che andarono in default centinaia di migliaia di famiglie americane, strangolate dalle rate dei mutui. Stavolta, l’effetto negativo sulla inflazione e sui tassi di interesse variabili può mettere in difficoltà il sistema bancario, alle prese in Europa con margini sugli interessi quasi inesistenti: Più che erogare credito, fanno trading: con tutti i rischi che ne conseguono, vista la volatilità dei mercati.
QUI USA
Sul piano internazionale, il calo del prezzo del petrolio può provocare uno shock di portata speculare a quello determinato in Occidente dalle crisi del 1973 e del 1980. Stavolta, però, le economie dei Paesi produttori non hanno molti spazi per riconvertire le proprie produzioni: non solo accusano perdite secche, ma la destabilizzazione prosegue, inevitabilmente, al livello finanziario e politico. La sfida dello shale gas ha avuto natura strategica per gli USA, in termini di indipendenza energetica. Sommata però al glut di offerta derivante dalla recessione europea, dal recente rallentamento dell’economia cinese ed in prospettiva dal ritorno dell’Iran nel gruppo dei grandi produttori, ne deriva un quadro in cui il mercato fisico è saturo, mentre gli investitori sui futures petroliferi rischiano perdite consistenti.
EFFETTO GREGGIO
Anche per l’Eurozona, il calo del petrolio non è una buona notizia, visto che si sta perseguendo l’obiettivo di far aumentare i prezzi per contrastare le conseguenze indesiderate della strategia di deflazione competitiva. In questo contesto i debiti aumentano in termini reali, visto che i redditi disponibili sono falcidiati dalle manovre fiscali mentre i fatturati delle imprese si contraggono. I rapporti debito/reddito e credito/fatturato vanno fuori scala, mentre le finanze pubbliche macinano deficit superiori alla crescita nominale. Se gli obiettivi inflazionistici coltivati dalla BCE, attraverso la svalutazione dell’euro ed il conseguente aumento dei prezzi all’importazione, sono fortemente compromessi dal calo del prezzo del petrolio, il rallentamento della economia mondiale rende inefficace la strategia di crescita fondata sulla export.
CHE FA FRANCOFORTE
La liquidità immessa dalla BCE attraverso il solo canale bancario non riesce a bilanciare i danni derivanti dalla decisione di risanare gli squilibri dei conti con l’estero e quelli delle finanze pubbliche attraverso la recessione economica, anziché mediante un processo di crescita equilibrata. La deflazione non ha colpito solo i salari ed i fatturati, ma anche le rendite obbligazionarie. In Europa, si investe a tassi reali negativi sul debito pubblico solo per il timore di perdite sul capitale nel caso di investimenti azionari o immobiliari. Anche così si alimenta la deflazione. Per non parlare di quella che esportiamo in giro per il mondo avendo un surplus della bilancia dei pagamenti correnti.
IL TAFAZZISMO EUROPEO
L’Europa non è consapevole dei danni che sta causando ai suoi cittadini, alle sue imprese, al suo sistema finanziario: insegue una competizione fondata su bassi salari, senza investimenti in innovazione a lungo termine. Con i rendimenti così bassi sui depositi e sulle obbligazioni si condannano all’impoverimento coloro che hanno lavorato e risparmiato per decenni. Con la politica dei bassi salari si mortificano le prospettive per i più giovani e le dinamiche del mercato.
CHE SUCCEDE IN ITALIA
L’Italia si consola a mala pena cercando di compensare i passivi commerciali verso la Cina ed il resto del mondo con gli avanzi verso gli USA, la Gran Bretagna e la Francia. Si esporta risparmio e non si investe. Fabbrichiamo da anni più debito pubblico che Pil, più disoccupati che reddito aggiuntivo, più fallimenti che nuove imprese, finanziamo più investimenti all’estero che all’interno. Non ne vale la pena: non c’è domanda e gli impianti marrciano con la ridotta. La competizione al ribasso sui salari sta demolendo il mercato interno, inseguendo un modello distorto in cui la piena occupazione è possibile solo vendendo di più all’estero. Ma se non si compra, è sempre più difficile vendere.
IL NODO DELLE BANCHE
La verità è che bisognava farle fallire tutte, le banche del nord Europa, francesi e tedesche innanzitutto, compromesse dalla crisi americana del 2009 e poi da quelle di Grecia, Portogallo e Spagna nel 2010: sono state salvate per i capelli dai loro Stati, ma i crediti fittizi sono tutti in giro. Un po’ sono stati accollati al Fondo Salvastati, ma un bel po’ sono ancora in giro. O si fa di tutto per far riprendere quota all’economia, come è accaduto in America, oppure ci si avvita. La deflazione dei prezzi e dei salari funziona solo se si procede prima allo smobilizzo degli investimenti fallimentari: bancari, finanziari, immobiliari: questo è il baco che divora da dentro l’economia europea. Questo è il cappio al quale abbiamo appeso un intero continente.
CONCLUSIONE
Gli investimenti in Europa non ripartiranno finché non ci sarà una tregua fiscale duratura, e fino ad allora tutti i nostri partner soffriranno per la nostra bassa crescita. Tassi ufficiali rasoterra, svalutazione dell’euro, liquidità abbondante e calo dei prezzi del petrolio: dovrebbe essere il migliore dei mondi possibili. Ed invece è solo una trappola per topi, se nessuno ha più denari per comprare. La vendetta dell’economia reale è un puatto servito freddo. E’ l’immobilità di chi rischia la sopravvivenza.