Dal maggio 2014 il Libano è senza il Presidente della Repubblica: Michel Suleiman ha cessato il suo mandato e da 15 mesi le forze politiche libanesi non sono in grado di accordarsi sul nome del successore.
La mancata elezione del Presidente della Repubblica, in un contesto regionale incandescente, provoca l’immobilità dell’esecutivo poiché può legiferare solo all’unanimità e le misure che dovrebbe adottare per rilanciare l’economia libanese sono di tale portata da necessitare un governo forte e un sistema istituzionale funzionante. Le recenti proteste a Beirut contro la mala gestione dei rifiuti sono la punta dell’iceberg.
Tuttavia, l’elezione della più alta carica non è una procedura semplice poiché s’inscrive nel meccanismo confessionale sancito nel Patto Nazionale del 1943 e riconfermato durante gli Accordi di Taef: le tre cariche principali del Paese sono allocate secondo una rigida spartizione confessionale.
I RUOLI
Il Presidente della Repubblica deve essere un cristiano maronita; il Primo Ministro un musulmano sunnita e il Presidente (speaker) del Parlamento un musulmano sciita. Ovviamente, accanto a queste tre principali confessioni, nel Paese dei Cedri vi sono altre comunità che partecipano all’agone politico: i cristiani ortodossi e quelli di rito armeno nonché le confessioni siriache e copte; una piccola comunità ebraica e gli altri musulmani quali gli alawiti e i drusi. I drusi, in particolare, hanno un peso politico decisivo grazie alle notevoli capacità del loro leader, da ormai quarant’anni, Walid Joumblatt.
Oggi la carica di premier è ricoperta dal sunnita Tammam Salam (nella foto, nominato dal Parlamento alla guida di un governo di grande coalizione, dopo un negoziato durato dieci mesi) e lo Speaker del Parlamento è il leader sciita Nabih Berri.
MOSAICO REGIONALE
Per capire ciò che accade in Libano è, da ormai quattro decenni, necessario leggere attentamente il quadro mediorientale che sta vivendo una fase turbolenta.
Senza ombra di dubbio la crisi siriana ha degli impatti politici drammatici in Libano: 1,5 milioni di profughi siriani si sono riversati in un paese che conta 4,6 milioni di abitanti e che, oltre agli sfollati della confinante Siria, deve anche far fronte ai profughi iracheni e alla storica presenza degli esuli palestinesi del 1948.
La milizia armata sciita Hezbollah è inoltre impegnata militarmente in Siria a sostegno del dittatore Assad e, come dichiarato dalla sua guida Nasrallah, finché la milizia è impegnata in Siria tutto passa in secondo piano.
LA RIPRESA
Tuttavia, Hezbollah gode dell’appoggio e dei finanziamenti dell’Iran (essendo il principale sponsor dei movimenti sciiti in Medio Oriente) e il recente accordo sul nucleare iraniano potrebbe favorire la ripresa del dialogo libanese per l’elezione del nuovo Presidente.
Anche l’elezione del Presidente Suleiman non è stata per nulla lineare: per eleggerlo servì un negoziato di un anno e l’intervento deciso del Qatar (nel 2008 emergeva come attore volitivo nella regione) che guidò i negoziati tra le principali fazioni politiche nel lontano emirato, mentre in Libano seguiva una campagna di attentati mirati orchestrati da Damasco, che non rinunciava ad esercitare la sua storica preminenza in Libano.
La Costituzione libanese prevede che il Presidente maronita venga eletto dai due terzi del Parlamento al primo turno e da una maggioranza semplice in quelli successivi, ma occorrono sempre i due terzi del Parlamento per convocare l’elezione. Da questo dettato costituzionale derivano le difficoltà e le ventitré convocazioni in cui non si raggiungeva la maggioranza. Per eleggere il successore di Suleiman è imprescindibile un accordo politico complessivo tra i partiti libanesi.
I CANDIDATI
Oltre agli attori puramente politici e ai players regionali, un ruolo importante è ricoperto dal Patriarca maronita Bechara Boutros Rai. Quest’ultimo ha richiamato tutte le forze politiche libanesi, aldilà della loro appartenenza confessionale, a ritrovare il senso di coscienza nazionale. Il cardinale, dalla scadenza del mandato presidenziale, si è speso per far emergere una candidatura condivisa ospitando presso il patriarcato le forze politiche al fine di delineare il profilo di un candidato di compromesso, che sembra lontano.
I principali aspiranti presidenti sono due: da una parte c’è l’alleanza del “14 Marzo”, sunnita e filo occidentale nata a seguito dell’omicidio del premier Rafik Hariri (assassinio di cui è sospettato il Presidente siriano Assad e per cui è stato istituito il Tribunale Speciale per il Libano), che sostiene la candidatura del leader delle Forze Libanesi Samir Geagea. La coalizione dell’ “8 Marzo”, filo iraniana e sciita, che comprende il movimento Hezbollah e il Movimento Patriottico Libero, candida lo stesso generale Michel Aoun per la presidenza.
Entrambi i personaggi sono figure “forti” dal notevole prestigio personale: Geagea ha lottato tutta la vita contro il “protettorato” siriano sul Libano ed è stato incarcerato per oltre dieci anni e accusato di alcuni crimini durante la guerra civile.
Il generale Aoun, personaggio controverso, è stato Capo di Stato Maggiore e presidente della Repubblica ad interim e ha vissuto due vite politiche: la prima di fiero oppositore dell’interventismo siriano in Libano (durante la guerra civile) e quella attuale -dal 2005- di alleato della Siria e del governo di Assad.
Secondo alcune fonti, tuttavia, il movimento Hezbollah non sembrerebbe pienamente convinto della candidatura di Aoun in quanto teme che con l’elezione presidenziale il generale possa diventare autonomo e distaccarsi dall’asse con l’Iran e la Siria.
Altri possibili candidati sono Amin Gemayel, ex Presidente dal 1982 al 1988, ma politico di lungo corso e troppo avverso alla Siria e di “diritto” l’attuale Capo di Stato Maggiore, il generale Jean Kahwagi (del resto i due precedenti Presidenti Lahoud e Suleiman avevano occupato in precedenza quel ruolo), che incarnerebbe il ruolo di Presidente di garanzia.
E’ un dato di fatto che l’elezione del Presidente è una questione intra-cristiana, ma è altresì innegabile che tutte le forze politiche libanesi sono coinvolte, come in ogni sistema parlamentare, a mediare le diverse istanze e progetti politici per arrivare ad un accordo.
L’impianto degli accordi di Taef continua, purtroppo, a imbrigliare la vita politica libanese ed ha creato una specie di sistema fondato sul “clientelismo confessionale” che rende il Paese debole e incapace di attutire le notevoli pressioni politiche regionali che vi si abbattono.