Una chiamata alle armi come segnale di responsabilità verso il prossimo.
L’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi ha stravolto il quadro politico italiano come forse neanche Berlusconi seppe fare con la sua discesa in campo nel ’94. Il tradizionale campo di gioco che vedeva contrapporsi due schieramenti eterogenei, un centro-destra e un centro-sinistra, è stato infatti ormai largamente superato da un blocco centrale (costituito dal PD, NCD-UDC e dalla ‘non opposizione’ di Forza Italia) e da due/tre partiti di opposizione: la Lega di Salvini, il M5S e SEL. In sostanza, lo strapotere Renziano si è sin qui manifestato nella capacità di rimescolare le carte superando la tradizionale dialettica tra due opposti schieramenti e finendo per dar vita ad un unico ampio schieramento moderato (il Partito della Nazione) in grado di raccogliere attorno alla figura di Matteo Renzi (o a quella del Berlusconi padre nobile delle riforme) il maggior numero di consensi. Questo processo politico magistralmente condotto dal PD a trazione renziana ha trovato nelle riforme istituzionali il proprio naturale sbocco, plasmando a propria immagine e somiglianza il sistema elettorale (l’Italicum), la Riforma del Senato e, c’è da scommetterci, gli stessi decreti attuativi con cui si darà forma alla Riforma della PA.
Le opposizioni, in particolare la Lega (o meglio, Salvini) e il M5S, scontano (almeno per ora) l’assenza di una credibile proposta alternativa di governo, nonché, approcci eccessivamente estremisti e proposte (si veda l’uscita dall’euro) che difficilmente potranno raccogliere la maggioranza dei consensi. Le posizioni di Salvini, del M5S e di SEL sono spesso apprezzabili e condivisibili ma sono per lo più condannate a restare punture di spillo in assenza di una strategia in grado di parlare a quel ceto (sempre meno) medio che rappresenta la maggioranza degli elettori e che è composto per lo più da persone e famiglie che, di fronte al peggioramento delle proprie condizioni di vita, chiedono con forza pragmatismo nel metodo e inclusione nelle proposte.
In questo quadro, lo spazio geometrico tradizionalmente occupato dal cattolicesimo politico è stato spazzato via dal renzismo, tristemente surrogato dalla foto di Renzi boy-scout, e i politici appartenenti a quell’area politica risucchiati nella massa informe e post ideologica del Partito della Nazione. L’epilogo di una stagione post-democristiana in cui la politica si è dimostrata incapace di tradurre l’insegnamento sociale della Chiesa, a partire dalla capacità di farsi portavoce dei più deboli favorendo inclusione e solidarietà, e massimamente impegnata a conservare le posizioni di potere facendosi per lo più megafono di interessi particolari (a partire da quelli delle gerarchie). Come più volte sottolineato dal Prof. Antiseri, la diaspora dei cattolici nelle diverse formazioni politiche – nonostante le loro migliori intenzioni – li ha ridotti a servi in livrea, presenti ovunque e inefficaci dappertutto. Non si è ottenuto il quoziente familiare, la parità scolastica resta un miraggio, è stata ingoiata la legge elettorale più nefasta del mondo (il porcellum ed oggi anche l’italicum), si è trasformato il Canale di Sicilia in una fossa comune di disperati in cerca di aiuto. Giusto per fare qualche esempio. Si comprende dunque abbastanza facilmente come sia potuto accadere che quel che restava del cattolicesimo politico trovasse nel renzismo il proprio naturale sbocco, risultando finalmente depurato persino dell’attributo ‘cattolicesimo’ e dunque libero di potersi esprimere nella sua massima espressione di ‘ricerca del potere per il potere’.
Per chi, da cattolico, guarda alla politica si tratta in realtà di una buona notizia. Finalmente c’è l’occasione di riappropriarsi di una tradizione politica, quella di Sturzo e di De Gasperi, di quel progetto politico che era il Partito Popolare (e che non è più stato la Democrazia Cristiana), uno schieramento fatto da credenti (e non dei cattolici o delle gerarchie ecclesiastiche) in grado di esprimere in politica quegli ideali e quei valori che sono iscritti nella tradizione secolare della Chiesa (inclusione e spirito di servizio, sussidiarietà, pluralismo, solidarietà, difesa dei più deboli, rilevanza sociale del lavoro come dell’impresa e difesa della famiglia tradizionale quale cellula essenziale della società) ma che, per la loro umanità, trovano larghi consensi anche in chi non crede e, più in generale, nella cultura occidentale (a conferma di quelle radici cristiane della nostra Europa che si è talvolta finanche tentato di negare). Chi può essere, infatti, contro la solidarietà? Chi può negare il valore sociale dell’impresa e del lavoro? Chi può non auspicare un sistema istituzionale inclusivo, in cui a ciascuno sia data l’opportunità di sperimentare i propri talenti in un clima di riconoscimento del merito ma anche di solidarietà verso chi non riesce a tenere il passo?
Sono queste le idee su cui convergere per dar vita ad una proposta politica alternativa, da declinarsi secondo lo stile ed il pragmatismo del buon padre di famiglia, in grado di rispondere alle complesse sfide del nostro tempo, contrapponendo alla politica del Governo Renzi ed a certe politiche europee l’idea dell’inclusione sociale (contro quella del potere per il potere) sia quale motore per lo sviluppo economico e sociale del Paese che fattore aggregante di una nuova Unione Europea. Un cambio di paradigma che deve essere incarnato da testimoni credibili, in grado di contrapporre all’uomo solo al comando (Renzi) un modello di leadership diffusa e la promozione della coesione sociale attraverso l’esercizio di una sovranità inclusiva.
Le parole pronunciate dal Segretario della CEI, Mons. Galantino, in questo agosto fatto di sterili polemiche e nuove strumentalizzazioni sul ruolo della Chiesa (ma, si badi, non dei credenti) nel dibattito pubblico, stigmatizzano quei caratteri estrattivi che abbiamo più volte evidenziato nelle istituzioni e nella politica italiana, e che rappresentano la principale causa del nostro declino e della nostra mancata crescita economica. Gli stessi caratteri estrattivi più volte denunciati da Papa Francesco sia nell’Evangelii Gaudium che nella Laudato Si come grave causa di povertà materiale e spirituale.
La politica con la ‘P’ maiuscola, infatti, «non è quella che siamo stati abituati a vedere oggi, vale a dire un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi». In un sistema istituzionale inclusivo «un popolo non è soltanto un gregge, da guidare e da tosare», bensì «il soggetto più nobile della democrazia e va servito con intelligenza e impegno, perché ha bisogno di riconoscersi in una guida». Per usare ancora le parole di Mons. Galantino, troppo spesso si è pensato «che il buon cattolico sia un uomo a metà, una via di mezzo tra gli ambiziosi e i disperati […] un uomo con il freno a mano, che non possa godere del successo della scienza o dei frutti della ricchezza». Contro questa visione che ha condannato molti credenti alla derisione e finanche all’emarginazione, non ritrovandosi nelle logiche di un mondo degli affari, delle professioni e delle istituzioni sempre più in contrasto con il proprio senso morale, ovvero, ad un’eccessiva timidezza nell’affermare le proprie idee, occorre (finalmente) una reazione in grado di costruire nella società civile una coalizione forte in grado di contrapporre agli egoismi e alle ingiustizie della nostra vita quotidiana l’esempio di chi interpreta la propria esistenza come servizio verso il prossimo, non semplicemente rinunciando a qualcosa, ma piuttosto offrendo al Signore il meglio dell’intelligenza e dello sviluppo economico e tecnologico.
Chi scrive, sin dai tempi delle Todi 1 e 2, auspica la creazione di un progetto politico capace di dare avvio a una stagione riformatrice in grado di superare i retaggi corporativi ed estrattivi che frenano lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese e che, le riforme del Governo Renzi, rischiano di aggravare piuttosto che di contribuire a sradicare.
Serve una coalizione trasversale, che affondi le sue radici nel mondo del lavoro e che da lì sappia trasformarsi in un progetto politico, in cui una nuova generazione di cattolici impegnati in politica sappia farsi carico del difficile compito di aggregare le forze politiche escluse dal Partito della Nazione attorno ad un’idea alternativa di governo fondata sull’inclusione sociale.
Non qualcosa di semplicemente “moderato”, “nel mezzo del nulla”, ma un progetto ambizioso che possa contribuire al rinnovamento del nostro sistema economico, alla ridefinizione del ruolo dello Stato nell’economia e nella società e, in definitiva, di offrire una visione coerente e lungimirante di quale ruolo vogliamo per l’Italia in Europa e nel mondo.
In altri termini, in questa complessa fase politica, riteniamo che il mondo cattolico (e con tale espressione non si intendono certo le gerarchie ecclesiastiche, bensì i laici credenti) debba nuovamente svolgere quel ruolo aggregante già svolto all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e grazie al quale l’Italia potette risollevarsi. I piccoli cantieri avviati prima della stagione del renzismo si sono sin qui arrestati a causa dei troppi personalismi e delle vane ambizioni personali che poco hanno a che fare con l’idea cristiana della politica come forma di carità. È sin qui mancata la capacità di incarnare quel cambio di paradigma di cui si è accennato in queste poche righe, così come è risultata completamente assente – nonostante gli appelli in tal senso di Benedetto XVI e di Francesco – la capacità di far emergere una nuova classe dirigente formata alla luce degli insegnamenti del magistero sociale, in grado di essere ‘testimoni fedeli e credibili del Vangelo’ in un contesto istituzionale ed economico complesso, che richiede sempre più leadership, competenza tecnica e senso morale.
Il mondo cattolico conserva ancora al suo interno una grande ricchezza, soprattutto in termini di risorse umane. Ed è da qui che occorre ripartire, come laici, coinvolgendo credenti e non credenti, senza necessità di inviti più o meno espliciti da parte delle gerarchie. Un ampio progetto politico non può, infatti, prescindere dal coinvolgimento delle associazioni, dei movimenti e di tutti coloro i quali, nel proprio quotidiano, si sforzano di fare della propria vita un incontro quotidiano con Cristo. A costoro deve aggiungersi chiunque abbia intenzione – pur con una diversa ispirazione, non necessariamente soprannaturale – di servire il prossimo facendo propri quei valori che, pur declinati in modo laico, sono propri della Dottrina Sociale della Chiesa. È proprio da questa ricchezza, insieme materiale e spirituale, che crediamo possano nascere idee utili al bene del Paese, che è dovere di noi credenti mettere al servizio di tutti e con la partecipazione di tutti gli uomini di buona volontà, anche attraverso l’impegno politico.
In mancanza di un simile sforzo, i cattolici in politica (e più in generale nella società) continueranno ad essere, nella migliore delle ipotesi, del tutto emarginati ovvero, nella peggiore, complici dei peggiori misfatti. Ciò equivarrebbe ad affermare una pericolosa ed inaccettabile indifferenza di noi credenti rispetto alle sorti della nostra società e, in definitiva, a negare le responsabilità incombenti su ciascuno di noi rispetto al bene comune.