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Perché la propaganda del terrore dell’Isis ha già vinto

Sterminare, torturare e schiavizzare sembrano concetti tornati nel linguaggio politico e tutto sommato questo ritorno al passato pare non scuoterci troppo. Le maggiori potenze mondiali sembrano più preoccupate dalle loro opinioni pubbliche, terrorizzate dalla possibilità di un confronto militare diretto contro l’Isis, che di fermare questi crimini perpetrati alla luce del sole in Siria e in Iraq.

Oggi un cittadino medio europeo non può non dirsi consapevole che gli Yazidi vengano sterminati e le loro donne e bambine rese schiave sessuali, non può non sapere di chiudere gli occhi sulla tragedia che colpisce cristiani, sciiti, alawiti, drusi e ogni sunnita che la pensa in modo diverso nei territori del califfato islamico in Siria e Iraq. Se gli Yazidi vengono annientati sotto i nostri occhi, il futuro delle altre cospicue minoranze siriane non è di certo roseo.

Quello che colpisce, è che la propaganda del terrore dell’Isis ha già vinto. Ha costretto il mondo a chiudere gli occhi davanti ad un genocidio, pur non di non affrontare un nemico che terrorizza le opinioni pubbliche. Con buona pace della Carta dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, di quello che le università di scienze politiche insegnano nel mondo occidentale.

In fondo la lezione della Shoah, della Bosnia Erzegovina, del Ruanda, non ci hanno insegnato molto.

Quello che rende ancora più sconcertante il quadro, è che poco meno di 200 mila ragazzi partiti da tre continenti, Europa, Asia e Africa, con il “romantico” sogno dello sterminio del nemico religioso e un armamento leggero, abbiamo potuto sconfiggere le maggiori potenze mondiali.

Sorgono spontanei molti dubbi sulla reale volontà di queste potenze di combattere davvero l’Isis. Infatti, sembra più probabile che il califfato abbia vinto semplicemente perché il mondo non si sia voluto schierare in quella che sembra essere la vera guerra in corso in Siria, quella tra Sunniti e Sciiti.

Fermare velocemente l’Isis creerebbe un vuoto di potere che il mondo non saprebbe come colmare, ecco perché è probabile che si preferisca lasciare bollire l’Isis nel suo brodo, bombardandola quando diventa troppo aggressiva e sperando che imploda pian piano su se stessa, in attesa che si trovi un possibile accordo tra Iran, Arabia Saudita e Turchia sul futuro Siriano e Iracheno.

Poco importa se i governi che potrebbero nascere in futuro nei due Paesi a seguito di intese che mettano d’accordo Sunniti, Sciiti, Alawiti e Curdi, troveranno qualche fossa comune piena di migliaia di essere umani che avevano l’unica colpa di far parte di una minoranza religiosa o di essere liberi. In fondo Parigi vale bene una messa.

Il mondo Islamico odierno sembra ormai immerso nella sua prima “guerra mondiale”, con alcuni attori che oggi fanno scoppiare conflitti dall’Africa fino all’Asia a seconda delle opportunità che si aprono. Oltre le scintille tra sciiti e sunniti, con l’Arabia Saudita che si scontra, con le armi o politicamente, con l’Iran in Yemen, Iraq, Siria, Libano, vi è poi un conflitto tra i fondamentalisti islamici e gli islamici che credono ancora nella tradizionale libertà di interpretazione o contro i laici. Questo scontro tra due diverse visioni religiose ha partorito attacchi terroristici dalla Nigeria fino alla Cina o nuove entità statuali come lo Stato Islamico tra Iraq e Siria. Inoltre, vi è una guerra per procura tra le tre potenze sunnite, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che pur essendo tutte alleate degli Stati Uniti si combattono in Libia, e in modo più sporadico in Egitto e Palestina per la supremazia nel mondo sunnita.

L’Isis ha imparato a sfruttare l’immobilismo delle potenze mondiali che non sanno come affrontare questi conflitti interni al mondo islamico, per creare un nuovo stato. Per riuscirvi, non avendo armamenti sofisticati come quelli delle potenze occidentali, della Russia o di quelle arabe, utilizza l’arma più antica del mondo, la stessa che usava Tamerlano: il terrore.
Le opinioni pubbliche e gli stati occidentali non dovrebbero chiudere gli occhi davanti a un genocidio, solamente perché non hanno una soluzione a portata di mano. Sarebbe molto meglio prendere coscienza del problema e ammettere che bisogna intervenire subito, anche se non si sa ancora come.

La prima cosa da fare dovrebbe essere mettere Turchia, Arabia Saudita, Qatar, Egitto e Iran con le spalle al muro, chiarendo che se non intervengono subito con un piano di pace credibile saranno corresponsabili del genocidio in Siria e di quello possibile in Libia, nuova terra promessa del califfato.

In secondo luogo bisognerebbe responsabilizzare l’opinione pubblica mediorientale, chiedendo ai cittadini e agli stati che vivono in questi Paesi, che per altro, Iran escluso, sono tutti alleati degli Stati Uniti, di chiarire in modo inequivocabile, quale siano le loro posizioni sui diritti delle minoranze che vivono da secoli in quelle zone e sulla libertà d’interpretazione del Corano, che ormai è sempre più spesso messa in discussione. In questo quadro, il recente accordo sul nucleare tra l’Iran e gli Stati Uniti, può essere uno strumento utilissimo per costruire un rapporto costruttivo con la Persia, attore senza il cui coinvolgimento non si potrà risolvere alcun conflitto in Medio Oriente. Bisognerebbe poi chiedersi da dove arrivino i soldi che finanziano i vari conflitti all’interno del mondo islamico e in caso vengano dal petrolio, dovremmo riflettere su quanto ci costi comprare una materia prima da Paesi che poi utilizzano questi soldi per destabilizzare mezzo mondo.

Infine, bisognerebbe comprendere che pensare di non essere risucchiati dal conflitto in Medio Oriente e Nord Africa, è del tutto utopistico. Come per altro dimostra in modo inequivocabile l’attuale flusso di immigrati che attraversa il Mediterraneo, anche a costo di perdere la vita pur di scappare da zone turbolenti.

Mettere la testa sotto la sabbia non farà altro che rendere ancora più duro il prezzo che pagheremo per uscirne fuori.


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