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Numeri, sfide e incognite di Netflix

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Mark Hawtin, direttore investimenti di Gam, apparsa su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

Le azioni Netflix hanno fatto il record a fine luglio in seguito ai risultati del secondo trimestre, quando il numero degli iscritti ai servizi di internet Tv è sensibilmente aumentato. La più forte crescita di Netflix si è prodotta all’estero, dove il numero di iscritti è balzato da 2 a più di 23 milioni.

La crescita dei servizi di home entertainment sul web ha innescato un dibattito sulla natura di internet come piattaforma aperta ed equa per tutti i servizi. A febbraio, la Federal Communication Commission (Fcc) americana ha introdotto una nuova disciplina in materia di protezione della neutralità della rete (Net Neutrality). La questione inerente l’approvazione di una nuova normativa in materia è stata discussa anche in Europa, mentre alcuni Paesi, come Cile, Olanda e Slovenia hanno già approvato pacchetti di leggi a tutela di tale principio. Ovunque i fornitori di servizi di connessione (Isp) si oppongono ai tentativi di ridimensionare le proprie attività commerciali.

COSA SIGNIFICA NET NEUTRALITY 

Il termine «neutralità della rete» è stato coniato per la prima volta da Tim Wu, professore alla Columbia University, nel 2003 e da allora ha generato molte controversie negli Stati Uniti. Dopo anni di dispute di natura legale e politica, l’Open Internet Order della Fcc dello scorso febbraio ha introdotto tre regole di base che disciplinano la neutralità della rete.

1) No blocking: i fornitori di servizi internet a banda larga non possono impedire l’accesso a contenuti legali;

2) No throttoling: i provider non possono ridurre il traffico in base al contenuto;

3) No paid prioritisation: i provider non possono favorire alcuni contenuti legali in rete a scapito di altri contenuti parimenti legali in cambio di qualsiasi corrispettivo, in altre parole nessuna corsia preferenziale.

I fornitori di contenuti internet (come Netflix e Google,) hanno cominciato a pagare i provider internet per veicolare propri contenuti agli utenti prima di altri tipi di traffico, tramite le cosiddette corsie preferenziali. Gli utenti dal canto loro possono scegliere di visualizzare i contenuti in modo più veloce ed efficiente rispetto ad altri siti, negando così di fatto l’idea di fondo che internet sia un terreno privo di ostacoli in cui anche una start-up può competere alla pari con un player ben avviato. L’incentivo per i provider a manipolare il comportamento dei consumatori diventa più evidente in considerazione del fatto che alcuni tra i più grandi Isp sono essi stessi affiliati a società di intrattenimento via cavo, al fine di fronteggiare la minaccia di «cord-cutting» (la possibilità per il consumatore di accedere a prodotti di intrattenimento online piuttosto che su un tradizionale canale tv).

LE SFIDE

Al momento ci sembra chiaro che gli Stati Uniti avranno una qualche forma di protezione della neutralità della rete, ma dobbiamo ancora valutare quanto sarà restrittiva per gli Isp e come verrà applicata. E potrebbero occorrere degli anni prima che la questione sia definitivamente risolta. Il problema è che la larghezza di banda di internet è limitata e le nuove applicazioni ad alta intensità di banda, come i video e i giochi online, stanno mettendo sotto pressione le infrastrutture esistenti. E se i punti contatto tra reti internet si sovraccaricano, la performance è compromessa.

Negli Stati Uniti, il settore dell’intrattenimento real-time rappresenta il 67,5% dei byte downstream sull’accesso fisso nei periodi di punta. Sempre nel contesto americano, gli Internet service provider prevedono un tasso di crescita annua tra il 30 e il 40% nell’uso di accessi a internet da postazione fissa.

FLESSIBILITA’ COMMERCIALE

I fornitori di servizi di connessione a internet affermano di avere una legittima necessità di gestire il traffico sui propri canali. Così facendo, essi affermano di poter fornire un servizio equo a tutti gli utenti, non peggiorato dalla minoranza di clienti che usa servizi internet ad alta intensità di banda, come la visualizzazione dei video in alta definizione. Offrire una varietà di piani tariffari facilita questa operazione e consente agli Isp di reinvestire nel miglioramento della performance dei rispettivi network.

Tuttavia, quando i provider introducono limitazioni sulla banda dati, spesso intendono raggiungere accordi commerciali sulla sponsorizzazione degli stessi o sul cosiddetto zero rating – ovvero escludere dal limite sui dati alcuni servizi, che potrebbero essere le piattaforme di video online o la musica in streaming. I critici avvertono che lo zero rating è una minaccia per la neutralità della rete, perché contribuisce a consolidare i provider preferiti ed esclusi dal limite, al posto di altri che sono soggetti al limite stesso.

La posizione degli Isp sottolinea che se la pratica è trasparente, i consumatori possono liberamente scegliere per quali contenuti sono disposti a pagare. Lo zero rating è vietato dalle leggi sulla Net Neutrality in Cina e anche in Slovenia è stato approvato un divieto, ma la pratica è diffusa nei Paesi in via di sviluppo. Per esempio Facebook è offerto in versione limitata, ma gratuita, agli utenti di internet da cellulare o tablet. Sebbene alcuni legislatori europei ne abbiano richiesto il divieto, al momento la disciplina dello zero rating non è prevista dalla normativa.

Anche dal punto di vista della Fcc, lo zero rating non è illegale, a patto che gli accordi forniti siano trasparenti e le pratiche non siano ritenute ingiuste o irragionevoli. I più a rischio per queste pratiche sono i media over-the-top, che richiedono un’ampiezza di banda molto significativa per l’erogazione dei propri servizi. Questi si trovano esposti al rischio sia di essere obbligati a pagare contributi o tasse sia di perdere quote di mercato per la concorrenza di un servizio zero rating.

Ma in maniera forse non molto intuitiva, questa pratica può favorire i leader di mercato come Netflix, la cui posizione dominante nel settore può solo essere rafforzata da costi di distribuzione potenzialmente in grado di soffocare player più piccoli, e in grado di produrre solo qualche piccolo inconveniente per la stessa Netflix.


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