Domenica 16 agosto il New York Times ha pubblicato un articolo-documentario sugli Amazonians, che non sono gli abitanti delle amazzoni bensì i lavoratori di Amazon. Dalla scarsa attenzione ai problemi di salute, alla maternità vista come intralcio, fino a condizioni di lavoro poco “favorevoli” . Il Ceo del colosso dell’e-commerce, Jeff Bezos, ha risposto con una lettera di forte riprovazione pubblicata da The Verge. Ma oltre ad analizzare questa storia su come lavorano i colletti blu, cerchiamo di capire come è nata Amazon perchè si chiama così, cosa fa realmente, come è organizzata e cosa diceva Bezos dei suoi dipendenti prima dell’articolo del Nyt.
AMAZON E IL NYT
Quanto documentato dalla nota testata giornalistica può essere riassunto in un’espressione Americana: “hit the wall”. In gergo questa vuol dire: arrivati al traguardo, per fatica o anzianità. Un po’ come una bella donna che con l’avanzare dell’età perde un po’ di sex appeal.
The Vox ha cercato di commentare l’articolo del Nyt andando oltre quanto documentato dal famoso giornale: attacco ma anche difesa al trattamento dei dipendenti.
Vengono fatti svariati (e non isolati) esempi di dipendenti tornati a lavorare dopo aver superato un cancro che sono stati licenziati, di genitori costretti a lasciare per le troppe ore di lavoro richieste, lavoratori diventati aggressivi e, a volte, violenti, perchè “work addicted”. In questi e altri casi, effettivamente, in Amazon you hit the wall e le possiblità di scalarlo nuovamente, quel muro, quasi non esistono. Da una parte una cura maniacale nei confronti del cliente, dall’altra un’attenzione quasi assente verso i dipendenti, costretti finanche a pagarsi da soli i pasti, i computer, i viaggi; abituati a vedere un turn over continuo, e messi all’angolo per giudizi troppo severi.
Ma, in realtà, il Nyt non parla molto di due aspetti che evidenzia Vox: la scalata verso il milione e la chiarezza iniziale. Alcuni dipendenti considerano Amazon come un’azienda nella quale poter fare carriera anche senza adeguate conoscenze, anche senza aver frequentato Harvard, anche senza aver avuto grandi esperienze alle spalle. Se sei bravo e resisti vai avanti, altrimenti non sei un Amazonian. L’altro aspetto riguarda una filosofia aziendale che Bezos ha ben pensato di riassumere in “Articles of faith”, che alcuni insegnano anche ai loro bambini. La sostanza è che i dipendenti devono essere degli atleti, sempre sull’attenti. Chi non ce la fa non è fatto per Amazon.
BEZOS RISPONDE
Bezos, in seguito alla pubblicazione dell’articolo, ha risposto amareggiato. Ha detto che quello descritto dal Nyt sembra un “un luogo di lavoro senza anima, dispotico, dove non ci si diverte o non si sorride. Non riconosco questa Amazon e spero nemmeno voi”. Nella sua lettera ha anche dato la sua mail e detto di scrivergli direttamente, scavalcando tutta la burocrazia dell’HR, nel caso in cui esistano davvero i casi sopra descritti. La prospettiva è che la sua casella di porta verrà intasata, ma questo vuol dire dare totalmente ragione al Nyt. E forse non è del tutto così. O almeno bisogna guardare anche l’altra parte della medaglia.
O forse la vera risposta deve essere trovata nelle parole di Bezos nel ’97, quando la compagnia vendeva solo libri e quando, forse, al posto delle porte c’erano anche poche scrivanie: “You can work long, hard or smart, but at Amazon.com you can’t choose two out of three”
AMAZON – COME E’ NATA E PERCHE’ SI CHIAMA COSI’
Negli Stati Uniti sembra che le start-up non abbiano accesso ad uffici low cost: nascono tutte in scantinati, garage, cantine, tutte stipate tra mille scatoloni, in ambienti umidi, spartani e poco accoglienti. Ma a quanto pare molto creativi. Anche Amazon nacque in un garage a Seattle nel 1995, “in uno spazio chiuso senza isolamento termico e con una grossa stufa rotonda al centro”. Sempre perché quei garage sono motori di fantasia, per rimediare alla mancanza di scrivanie, Bezos comprò delle porte di legno chiaro a 60 dollari in un negozio vicino. Locale, calore, scrivanie: la classica start-up made in Usa partì. L’intento era quello di vendere libri on-line, mettendo a disposizione però una libreria molto più ampia rispetto a quelle già offerte da altri rivenditori e-commerce.
Oggi, quella start-up, conta 88.400 dipendenti, registra un fatturato di quasi 70 miliardi di dollari l’anno ed è passata dalla vendita di libri alla vendita di qualsiasi cosa si abbia bisogno: Amazon vende tutto. Pensate ad una cosa e la trovetere.
Quando Bezos stava cercando un nome, in quel garage freddo e con una grossa stufa, inizialmente pensò a “Cadabra Inc.” ma, non convinto da questa parola che molti avrebbero confuso con “cadaver”, aprì il dizionario alla lettera “A”. Vide la parola Amazon: “Il Rio delle Amazzoni, il fiume più lungo della Terra” e pensò alla libreria più grande della Terra. Bezos registrò il dominio e comunicò ai collaboratori: “Non è solo il fiume più lungo del mondo, ma il secondo in classica è staccato di parecchio. Il Rio delle Amazzoni straccia tutti i concorrenti”.
Oggi il termine è entrato nel lessico del business: “To be Amazoned” significa restare a guardare impotenti mentre una start up sottrae clienti e profitti al business “brick and mortar”, vale a dire al bussiness fatto di negozi non virtuali ma fisici, concreti, nei quali puoi entrare e comprare toccando.
Brasile e Perù, territorialmente interessate alla omonima area geografica, nell’aprile del 2013, hanno avanzato forti obiezioni contro la registrazione del marchio ideato da Bezos. Ma sembra che Bezos la stia spuntando. Stessa storia per l’Argentina con il marchio “Patagonia” o per il Giappone con “Date” (sito di appuntamenti on-line). Nel Paese nipponico Date corrisponde anche al nome di due diverse città, una nella regione di Hokkaido e una in quella di Fukushima.
BEZOS E I DIPENDENTI
Nel corso del 2014 Bezos aveva parlato di due cose curiose (e da molti elogiate) su come dovevano lavorare i suoi dipendenti: il disordine nei magazzini e l’assenza delle slide.
La strategia di Amazon nei magazzini è infatti quella di affiancare prodotti diversi per ridurre la possibilità che i dipendenti selezionino quello sbagliato, sebbene ogni prodotto, scaffale, elevatore, carrello e badge sia dotato di codice a barre, e algoritmi invisibili calcolano i percorsi più efficienti per muoversi nella struttura. La percentuale di errore, in questa maniera, sembra abbassarsi di molto.
Per quanto riguarda le slide, nelle riunioni, non vengono mai usate presentazioni in Power Point: i dipendenti devono esprimere i concetti per iscritto in un massimo di sei pagine, perché Bezos è convinto che questa attività stimoli il pensiero critico. All’inizio di ogni riunione tutti leggono in silenzio il documento, poi inizia la discussione, a voce, senza slide.
BEZOS, AMAZON E LO SPAZIO
Bezos descrisse il suo sogno di “salvare l’umanità fondando colonie umane permanenti su stazioni spaziali orbitanti e trasformando il pianeta in una gigantesca riserva naturale.” Il motivo per cui, fin da giovanissimo, voleva guadagnare così tanti soldi era perché voleva andare nello spazio interstellare”. E in qualche modo ci sta davvero lavorando. Possiede un ranch da 117.000 ettari in Texas dove ha sede la Blue Origin, la struttura di ricerca spaziale premiata dalla Nasa nel 2009 per il supporto delle future operazioni di volo spaziale umano. In poche parole: turismo spaziale.
Ma Amazon vuole conquistare lo spazio anche grazie a piccoli droni atti a vere e proprie consegne lampo che sfidano ogni possibile ingorgo stradale (e non solo).