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Perché non rottamare il patto di stabilità interno?

Piero Fassino

Il ragionamento è semplice, quasi banale. Più tagli, più le tasse aumentano. Ed è esattamente quello che è successo in Italia, dove a forza di tagli ai trasferimenti ai comuni, 8 miliardi tra il 2011 e il 2014, i tributi locali sono aumentati del 22%, 113 euro in più per ogni cittadino. Dati freschi, resi noti due giorni fa dalla Corte dei Conti in una relazione lunga 300 pagine.

Non proprio una lettura da ombrellone ma fare i conti in tasca allo Stato è il mestiere dei magistrati contabili. Non male, comunque, come preambolo alla rivoluzione fiscale lanciata una manciata di giorni fa dal premier Matteo Renzi, che si appresta a tagliare 50 miliardi di tasse per i prossimi 5 anni. E proprio qui sta il punto. I tagli. Perché anche parlare di riduzioni fiscali può essere un arma a doppio taglio.

Tagliare le tasse è cosa buona e giusta ma bisogna tenere a mente una cosa. Meno tasse vuol dire meno introiti per i comuni. Meno introiti per i comuni vuol dire costringerli a diminuire i servizi ai cittadini. Oppure, come avviene nella maggior parte dei casi, ficcare qualche balzello tra le pieghe di qualche delibera comunale. Certo, ci sono gli sprechi da aggredire, ma è facile a dirsi e difficile a farsi, sovente.

E’ il federalismo fiscale, bellezza. O, in altre parole, un cane che si morde la coda. Ad un occhio attento, non sfugge tale logica, sposata dalla stessa magistratura contabile. Per la quale, per esempio, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa è un pastic­cio gigan­te­sco che ha intaccato la corri­spon­denza tra con­tri­buenti e sog­getti bene­fi­ciari dei ser­vizi resi.

Vogliamo par­lare del taglio dell’Irap? L’imposta sulle imprese su base regio­nale tagliata di 1,9 miliardi da Renzi per ridurre il cuneo fiscale ha avuto “riflessi nega­tivi” sulle fun­zioni degli enti locali. Quanto al bonus Irpef degli 80 euro per i lavo­ra­tori dipen­denti con red­diti tra 8 e 26 mila euro è costato 4,5 miliardi di euro e ha “peg­gio­rato il fab­bi­so­gno del set­tore pubblico”. Insomma, tagliare le tasse potrebbe servire a poco o a nulla perchè tanto i comuni trovano la soluzione: azzerare i servizi e via tutti a piede oppure infilare oboli nelle manovre di bilncio comunali.

E allora? Come se ne esce. Il sindaco di Torino e presidente dell’Anci, Piero Fassino, in un’intervista ieri al Corriere della Sera, lo ha detto in modo chiaro: il vero problema è il patto di stabilità interno dettato dall’Ue. Regole più flessibili significherebbero per i comuni un maggiore spazio di manovra nella gestione delle risorse. In sostanza, addolcendo il patto i comuni potrebbero tranuillamente sopportare una riduzione del carico fiscale su scala nazionale, senza ricorrere ai balzelli per riequilibrare i conti, proprio perchè vincolati da regole molto meno stringenti. E allora sì che avrebbe  senso e logica tagliare le tasse. Per dirla con le parole di Fassino, solo una volta superato il patto si potrà effettuare “una revisione globale del sistema fiscale”.

Valutazioni che prendono corpo nelle stesse ore in cui Renzi, dal Giappone dove è in visita ufficiale, striglia ancora i comuni, invitandoli a rimboccarsi le maniche perché “le città e le strade sono sporche”. Sarà anche vero, anzi lo è, però qualcuno dovrebbe spiegare al Governo che prima vanno riscritte le regole di bilancio e poi si possono tagliare le tasse.

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