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Vi spiego perché la Tunisia spaventa i jihadisti. Parla il ministro Baccouche

Il Mediterraneo: culla delle civiltà e teatro delle più sanguinose guerre. Forse mai come nelle ultime settimane, l’equilibrio politico internazionale si lega, a doppia mandata, con quanto sta accadendo sulla sponda sud del Vecchio Mare. Le coste del Nord Africa sono infatti un sanguinoso palcoscenico: conflitti, violenza e migrazioni destano grandi preoccupazioni. L’unico Paese che nel “Post Primavera Araba” è riuscito a ricostruire un equilibrio politico e sociale è la Tunisia, che resiste anche all’onda d’urto del fondamentalismo islamico. A raccontarci pregi e difetti della realtà tunisina è il ministro degli Esteri del Paese, Taieb Baccouche, intervenuto il 24 agosto al Meeting di Rimini nel corso dell’incontro “Ripartire dal Mediterraneo: un orizzonte per la politica internazionale” introdotto da Roberto Fontolan e partecipato dal ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano Paolo Gentiloni.

In una conversazione con Formiche.net, Baccouche ha spiegato qual è a suo avviso la via da seguire per ritrovare la pace.

Ministro, qual è il segreto della stabilità politica della Tunisia?

La stabilità politica della Tunisia si fonda su due elementi fondamentali: la storia millenaria dello Stato e la presenza di una dinamica società civile. Infatti, nonostante le vicissitudini storiche, recenti e non, il funzionamento dello Stato non è mai stato interrotto, ciò ha permesso di garantire un’importante continuità a livello governativo. In secondo luogo, la società civile che ha partecipato attivamente alla creazione dello stato moderno tunisino difendendo la libertà e la democrazia.

La degenerazione del fondamentalismo islamico però è arrivata anche in Tunisia, perché il fattore religioso non è riuscito a minare la stabilità del Paese come invece è successo nel resto del Mediterraneo?

Lo stato moderno della Tunisia è (relativamente) giovane dunque il fondamentalismo islamico ha trovato, diciamo così, una maggiore resistenza. A difendere la stabilità del nostro Paese non è solo la politica ma sono i tunisini stessi, gli uomini e le donne che ogni giorno si spendono per garantire la normalità del quotidiano. In particolare, il livello d’istruzione è cresciuto notevolmente negli ultimi anni, è infatti uno dei principali obiettivi dello Stato tunisino assicurare ai giovani un’educazione adeguata, cosicché questi si facciano baluardi della democrazia.

Sono loro la speranza del Paese?

Lo sono stati quando si sono messi a fare la rivoluzione, senza legarsi a compagini politiche o religiose. Non era scontato che la situazione non degenerasse e che si riuscisse a costruire un equilibrio. Ce l’abbiamo fatta e per questo motivo sono i giovani stessi a difendere con le unghie e con i denti quello che hanno costruito.

In che modo la popolazione tunisina “fa resistenza” alla minaccia del terrorismo?

Vivendo nella legalità, nella libertà, nella giustizia. Rispettando le regole, impegnandosi a dare il meglio nel loro lavoro, partecipando alla vita dello Stato nel loro piccolo.

Dopo gli attentati terroristici di giugno al porto di Kentaoui com’è il clima nel Paese? La gente ha paura?

Certamente c’è dell’inquietudine, quello che è successo è stato disarmante. Allo stesso tempo la gente è determinata a superare la paura e lo fa mettendosi in gioco, andando al mare e prendendo parte alle iniziative più disparate: i festival, gli spettacoli teatrali, i cinema sono affollati. Questo è il segnale che vogliamo dare.

In questo periodo si parla moltissimo di immigrati, anche in Tunisia la situazione è complessa. Come state gestendo l’emergenza?

A pochi chilometri da noi c’è la Libia in cui la guerra civile sta mettendo a durissima prova il Paese. La Tunisia è lì al confine, passano tantissimi profughi. Noi, come l’Italia, partecipiamo alle migrazioni africane in maniera ragionevole e umana. Se lavorassimo da soli non ce la faremmo, è solo in collaborazione con gli altri che piano piano si può tornare alla pace.

Ristabilire l’ordine nel Mediterraneo dunque non è una priorità solo della Lega Araba?

Assolutamente no. E’ con la collaborazione di tutti che si può arrivare una risoluzione dei conflitti.

Come si fa ad aiutare gli altri rimanendo imparziali?

La diplomazia tunisina si basa su alcuni principi: innanzitutto, non si interviene nelle questioni interne di un Paese; allo stesso tempo però non si incarna la neutralità passiva e negativa. In secondo luogo, non si incentivano i conflitti armati. Quando ci sono problemi bisogna cercare soluzioni politiche e pacifiche.

No alla guerra, sì al dialogo?

Esattamente. E’ la storia a insegnarlo, solo con il dialogo e la collaborazione di tutti si può ristabilire e mantenere la pace.

Perché ha deciso di accettare l’invito del Meeting di Rimini?

Me ne avevano parlato, mi avevano detto che il Meeting di Rimini era qualcosa di bello e di particolare. Quando sono arrivato qui mi sono accorto che in realtà la portata di questo evento è ancora più ampia di quella che potevo immaginare. Ciò che mi ha colpito particolarmente è la partecipazione dei giovani e il fatto che qui davvero si sviluppano idee e desideri.


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