Una soluzione militare per la Libia non esiste, credo sia il caso di ripeterlo di frequente ad evitare i ricorrenti appelli alle armi da parte di un mondo poco acculturato in questioni di difesa ma presuntuoso e superficiale, e che anche l’interesse nazionale è ad elevato rischio.
Intervenire militarmente vuol dire avere chiari gli obiettivi sul terreno o avere la capacità di generarli in tempi contenuti.
Sicuramente negli archivi intelligence nazionali o Nato ve ne sono di target da colpire, altri li si potrebbe designare in tempi accettabili soprattutto con l’apparizione in teatro di un avversario condiviso, l’Isis, seppure quelli di Tripoli, o alcuni di loro, potrebbero storcere il naso se lo Stato Islamico venisse inquadrato nel mirino.
E tuttavia oggi non sappiamo esattamente chi dobbiamo combattere, dove sganciare le nostre bombe.
Ma ammettiamo che la comunità internazionale individui il nemico e decida per un intervento. Problema risolto? Neppure per sogno. Verrebbero semmai a nudo altri problemi di fondo cui, un giorno o l’altro, occorrerà mettere mano: qual è l’end state che si vuole perseguire?
Errore ricorrente l’elusione del quesito dal Kossovo in poi, ed oggi ne paghiamo le pesanti conseguenze in tutti i teatri dove abbiamo appiccato il fuoco senza avere le idee chiare sulla soluzione auspicata; la Siria ne è l’esempio più recente e drammaticamente evidente, quindi se vogliamo per una volta tanto dimostrare di avere appreso al lezione è meglio che attorno ad un tavolo si fissino i paletti della fisionomia finale della Libia, ed in fretta, ad evitare che la situazione si ingarbugli ad un punto tale da non poter più distinguere le parti in causa ed i ruoli di ciascuno, come appunto è accaduto in Siria.
Ma ammettiamo pure che una volta tanto la saggezza prevalga sulla perdurante ipocrisia ed inettitudine che la comunità internazionale, Europa in testa, sta profondendo ad ampie mani e quotidianamente, e che ci si metta d’accordo sul l’assetto finale dello Stato libico.
A questo punto sarebbero i militari a non essere pronti ad affrontare la sfida. Se oggi dovessimo mettere in piedi una coalizione, potremmo ricorrere a una dottrina di impiego dello strumento militare che ha mostrato in più di una occasione di essere completamente inadatta a risolvere i problemi di scenario.
Manca non tanto la chiave di lettura delle varie situazioni da affrontare quanto il disegno della macchina bellica da mettere in piedi, una macchina che possa risolvere le situazioni sul terreno e non girare a vuoto dopo le prime battute, come si è sistematicamente verificato nei conflitti degli ultimi anni.
Ancora una volta le lezioni sono state identificate, forse, ma non apprese. In altre parole, se oggi si dovesse propendere per risolvere con la forza la questione libica si ripeterebbero gli errori già fatti con imperdonabile sistematicità, una coalizione che muoverebbe i primi passi con adesioni e force offering basate su quello che si intende mettere a disposizione e non su quello che veramente serve.
Ci si accorgerebbe poi che la somma delle forze, anche se assemblate in maniera intelligente, sarebbe incompleta in componenti essenziali, quali la capacità di condurre operazioni belliche complesse, capacità che oggi possiede solo gli Stati Uniti cui per questo e per altro si dovrebbe far ricorso, come è accaduto nel 2011 sempre in Libia.
Questi sono a grandi linee i problemi veri da risolvere prima di poter pensare o invocare una soluzione militare; ed in questa visione realistica, più che – od oltre che – pessimistica la ciliegina sulla torta è che il mondo della politica, salvo qualche raro caso, deve fare un atto di fede per recepire le difficoltà da superare, il suo analfabetismo in questioni di difesa non gli consentirebbe di capire i veri ostacoli per una soluzione di forza; si astenga pertanto almeno dall’ipotizzarla tout court ad ogni riacuirsi delle crisi che riguardano il nostro Paese.