Nei momenti morti e di “navigazione forzata” – per intenderci, il perder tempo a tutti i costi rimbalzando da un link ad un altro – spesso riguardo il fantastico sketch, tratto dallo spettacolo teatrale “Millenovecentonovantadieci”, nel quale, ipotizzando di poter contattare un aborigeno via internet, Corrado Guzzanti pone il quesito più rappresentativo dei nostri anni:che cazzo se dovemo dì?
Cosa ci diciamo? Sono stato, lo sono ancora oggi, uno dei più ferventi seguaci del dogma tecnologia=progresso ma delle volte, come in tutte le religioni che si rispettino, le mie credenze vacillano. Era il 1998 quando l’aborigeno venne contattato – o ferse no – e la piattaforma internet si è, da allora, enormemente modificata e noi con lei. Noi ci siamo incattiviti. L’equazione tecnologia=progresso non è stata dimostrata.
L’avvento dei social network, non sono in grado di dimostrare analiticamente il perché, ha in qualche modo abbattuto l’ultimo ( sottilissimo ) muro di decenza che ci rendeva ancora umani. Non credo sia funzionale al progresso, una tecnologia che permette di imbarbarirsi contro una ragazza che sostiene che la sperimentazione umana l’ha tenuta in vita nonostante tutto. Non ritengo utile, al progresso, una tecnologia che potenzialmente potrebbe permettere l’acquisizione di un numero indefinito di sapere e che, invece, viene utilizzata per scempiaggini ed auguri di morte. Non è, senza alcun’ombra di dubbio, praticabile la strada della maleducazione a discapito del vivere civile.
Certamente qualcuno mi dirà che internet è fatto di persone ed è, per sua stessa natura, portato ad assumere “connotazioni” umane ma, ritengo,il problema non risiede nell’essere o non essere maleducati ma nel diventarlo dietro un computer.
Temo la rabbia senza controllo. Ho paura delle masse che si sono trasformate in folla anonima, emotiva, che rende ancora più solo l’individuo. Mi angoscia percepire il cattivo utilizzo della rete come un acceleratore del processo di sfaldamento del tessuto sociale.
Allora, ribadisco, che cazzo se dovemo dì? Probabilmente nulla.Per fortuna possiamo ancora raccontarci le false speranze che ci tengono in vita. Il resto è meccanica della respirazione.