Skip to main content

All’origine del bad equilibrium: il ciclo(ne) finanziario

L’ennesima prova dell’indecisione della Fed, che ancora una volta vorrebbe ma non può alzare i tassi, conferma il disperato stato d’animo dei nostri stregoni monetari che pensano magicamente di invertire la bassa marea del ciclo economico generando ondate tumultuose di liquidità, quando invece le ragioni delle maree risiedono in complessi equilibri gravitazionali che sfuggono in larga parte alla volontà dei manovratori.

In questo esercizio di riempimento del mare asciutto con il secchiello della politica monetaria sfugge a molti la divaricazioni crescente che tale politica può provocare fra il ciclo economico propriamente detto, ossia quello che i notiziari si preoccupano ogni giorni di illustrarci con dati retoricamente dati in pasto alle opinioni pubbliche, e il ciclo finanziario. Concetto quest’ultimo che rimane oscuro, confinato nelle branche del sapere specialistico sebbene, come ha felicemente sintetizzato Claudio Borio, capo del dipartimento monetario della Bis, in un articolo del 2013, “discutere del ciclo economico senza considerare quello finanziario è come parlare di Amleto senza il principe”.

Il bad equilibrium in cui tutti noi ci agitiamo trova spazio proprio nei disallineamenti fra il ciclo economico e quello finanziario, che dai primi anni ’80, quando la liberalizzazione dei movimenti di capitale ha potentemente influenzato i flussi finanziari internazionali, sono diventati i veri determinanti del nostro stato di salute.

Concetto oscuro, perciò, che però deve essere compreso e che ci riporta a uno dei sacri graal dell’economia contemporanea: la ricerca di una teoria che unifichi la macroeconomia con la finanza.

Ci torneremo. Intanto però cominciamo da una definizione di ciclo finanziario che si può trovare nei libri di ragioneria. Per un’azienda un ciclo finanziario inizia quando sorge un debito di regolamento, ossia verso i fornitori, e si chiude quando sorge un credito di regolamento, ossia verso i clienti. In sostanza se un’azienda compra un bene e non lo paga subito accende un debito e innesta un ciclo finanziario che si conclude quando la merce corrispondente viene venduta a credito ai clienti. Detto in un altro modo ancora, il ciclo finanziario inizia con il sorgere dei debiti originati dalle operazioni di acquisto e termina con il sorgere dei crediti originati dalle operazioni di vendita.

Come si capisce da questa semplice definizione un ciclo finanziario sopravvive al trasferimento dei beni e ne è in qualche modo indipendente. E ciò spiega perché usualmente, se dalla singola azienda passiamo all’economia nel suo complesso, i cicli finanziari tendano a essere molto più lunghi del ciclo economico. “Nella sua misurazione tradizionale, infatti, il ciclo economico dura generalmente da uno a otto anni, mentre il ciclo finanziario si estende su 15‑20 anni”.

Nel suo rapporto annuale del 2014, da cui è tratto il virgolettato che precede, la Bis ha dedicato un lungo capitolo al ciclo finanziario e non a caso. L’istituto di Basilea, infatti, ha prestato moltissima attenzione a questo movimento che è tanto evidente quanto invisibile. Il ciclo finanziario infatti si determina nella psicologia degli operatori e si manifesta nel prezzo degli asset, che la liquidità gonfia nelle fasi di boom, distruggendosi in quella di bust.

Nella definizione che ne dà la Bis, i cicli finanziari “incorporano le interazioni
fra le percezioni del valore e del rischio, l’assunzione di rischio e i vincoli finanziari,
interazioni che, alimentandosi a vicenda, generano fasi alterne di espansione
finanziaria (boom) e contrazione finanziaria (bust)”. Detto più semplicemente, la mutevole percezione dei valori e del rischio, associati alla disponibilità di credito, conduce all’accumulo di debito privato e pubblico che, una volta che boom si passa al bust, sono capaci di innescare devastanti recessioni patrimoniali. Ossia crolli in cui la distruzione di valore degli asset conduce a crisi bancarie e mette a rischio la sostenibilità dei debiti.

Da qui sorge il tentativo di reflazionare l’economia, di cui ho già parlato.

Poiché i cicli finanziari tendono ad essere assai più lunghi di quelli economici la Bis ha cominciato a misurarli “tenendo conto della combinazione fra aggregati creditizi e prezzi degli immobili”. L’andamento del pil e delle variabili finanziarie, spiegano, possono essere divergenti per periodi anche lunghi, ma “il loro legame tende a ristabilirsi spietatamente quando le fasi di boom finanziario si trasformano in bust”. “Tali episodi spesso coincidono con crisi bancarie, che a loro volta tendono ad accompagnarsi a recessioni molto più profonde (recessioni patrimoniali) di quelle che caratterizzano il ciclo economico ordinario”.

Quindi la marea artificiale generata dalla liquidità, una volta che quest’ultima evapora perché la percezione degli agenti economici riprezza in maniera traumatica gli asset, ritraendosi, lascia sulla battigia banche mezze fallita e valori immobiliari traumaticamente ribassati, che a loro volta, funzionando il mattone come collaterale dei prestiti bancari, avvita una spirale depressiva di cui abbiamo fatto esperienza dopo il 2007.

In tale contesto, l’eccessivo indebitamento accumulato nel settore privato può zavorrare la crescita, con l’aggravante che “cercare di stimolare l’economia mediante bassi tassi di interesse incoraggia a contrarre ulteriore debito, finendo per aggravare il problema che si intendeva risolvere”.

Ad complicare la situazione, la circostanza che i cicli non sono mai un fatto isolato che riguardi un singolo paese. Proprio il movimento di internazionalizzazione dei capitali, infatti, ha di fatto globalizzato i cicli finanziari che “sono spesso sincronizzati nelle diverse economie: sebbene non si muovano necessariamente in parallelo, molte delle loro determinanti hanno un’importante componente internazionale”. “Le condizioni di liquidità tendono a essere altamente correlate nei diversi mercati. La mobilità dei
capitali finanziari finisce per omogeneizzare i premi al rischio e le condizioni finanziarie fra valute e paesi diversi, e offre una fonte di finanziamento marginale (determinante per il prezzo). Il capitale estero, pertanto, gioca spesso un ruolo di primo piano nei boom insostenibili del credito, amplificando gli andamenti degli aggregati creditizi, e potrebbe altresì portare a un’iperreazione dei tassi di cambio”. A ciò si aggiunga che “i cicli finanziari cambiano al variare del contesto macroeconomico e dei quadri di riferimento delle politiche. Ad esempio, a partire dai primi anni ottanta sono cresciuti in termini sia di durata sia di ampiezza”.

Quindi, proprio come le maree, le ondate del ciclo finanziario si propagano lungo gli emisferi, tanto più forti quanto più rilevante è il peso specifico di chi origina il ciclo, a causa dell’interrelazione ormai consolidata fra tutti i mercati finanziari.

Così il ciclo diventa facilmente un ciclone. Che prima o poi colpisce tutti.

Twitter @maitre_a_panZer


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter