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Ecco come l’austerità sta frenando la Finlandia

Tra i “malati d’Europa”, la Finlandia è quello più peculiare. Tre anni consecutivi di decrescita del Pil, un rischio crescente che anche il 2015 si chiuda allo stesso modo, un clima cupo per consumi, figlio del forte deterioramento del mercato del lavoro e crollo pluriennale di investimenti, con disoccupazione all’8,4% e restringimento della forza lavoro causati da una vera e propria crisi del modello di sviluppo del paese, vittima della manovra a tenaglia rappresentata dal forte ridimensionamento di Nokia e dalla crisi del mercato internazionale di carta e cellulosa ma anche della profonda crisi dell’ingombrante ma importante partner commerciale russo, a sua volta causata sia del crollo delle quotazioni del greggio che, soprattutto, dell’embargo russo sui prodotti alimentari occidentali, rappresaglia per le sanzioni imposte a Mosca dopo l’annessione della Crimea.

Il maggior produttore lattiero caseario finlandese, che ricavava circa un quinto del proprio fatturato dalle esportazioni verso la Russia, ha già iniziato colloqui con i sindacati per tagliare i propri organici, aggiungendosi ad una lunga lista di altre imprese in condizioni simili. Il governo, tripartito di centrodestra di cui fanno parte anche i nazionalisti del Finns Party, ha risposto alla crisi puntando al recupero di competitività e produttività, nella tradizione di un paese che, nella Grande Recessione dell’Eurozona, è sempre stato “più tedesco dei tedeschi”, magnificando le virtù dell’austerità. L’ex premier Jyrki Katainen, oggi vicepresidente della Commissione europea, parlava addirittura di growsterity, che poi sarebbe la mitologica “austerità espansiva” .

L’attuale esecutivo, con in prima linea l’ex premier ed attuale ministro delle Finanze, Alexander Stubb, denuncia che il paese avrebbe “vissuto per molti anni sopra i propri mezzi”, che la forza lavoro è sclerotizzata e costosa, e che serve un taglio di almeno cinque punti percentuali al costo del lavoro per unità di prodotto, convintamente spalleggiato dal primo ministro Juha Sipila che ha affermato che, se il paese avesse una propria moneta, ora si sarebbe presa in considerazione l’ipotesi di una svalutazione. Ma al contempo ha ribadito che l’unica prospettiva per la Finlandia è l’euro e che occorre essere competitivi entro il quadro della moneta unica procedendo ad una “svalutazione interna”, cioè al taglio del costo del lavoro, mediante misure concertate nei limiti del possibile con le parti sociali, partendo da un pacchetto governativo che sarà presentato a fine settembre.

Quel che si è avuto sinora sono stati classici tagli di spese ed aumenti di imposte. La prospettiva è un altrettanto “classico” ed austero ridisegno del modello di welfare, oltre al taglio del costo del lavoro. In un paese che quest’anno ha “sfondato” la soglia-Maastricht del 60% nel rapporto debito-Pil e si dice ancora disposto a tirare la cinghia della svalutazione interna senza invocare complotti esterni. Ma non è detto che il lieto fine arrivi.

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