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Tutti gli effetti dell’economia cinese in affanno

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Il rallentamento dell’economia cinese anticipato nei mesi scorsi da alcuni indicatori (diminuzione del trasporto merci su rotaia, del consumo di energia, PMI manifatturiero in calo, andamento decrescente dei prezzi alla produzione) ha cominciato a essere più visibile nei numeri di contabilità nazionale durante l’estate. I dati ufficiali cinesi mostrano nei primi sei mesi dell’anno una crescita del Pil del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2014, un dato piuttosto basso per il paese e che rappresenta la naturale continuazione di una riduzione della crescita in corso da almeno quattro anni.

Secondo le più recenti stime del Fondo monetario internazionale, a fine anno il paese non dovrebbe crescere più del 6,8% a/a, seguito da un +6,3% nel prossimo anno; si tratta dell’incremento più basso dal 1990, quando il peso della Cina sul Pil mondiale era pari ad appena l’1,8%. Il Fondo ha peraltro rivisto due volte al ribasso la previsione per il 2015, riducendola di 0,5 punti percentuali nel giro di un anno e mezzo. Secondo alcune stime non ufficiali tali dati nascondono un rallentamento più marcato (intorno al 5%); tuttavia è importante ricordare che anche in questo caso il contributo della Cina all’economia mondiale sarebbe comunque maggiore di quello del 2007, quando il paese cresceva a un ritmo quasi triplo (14%).

Secondo l’ufficio di statistica cinese tra gennaio e luglio la crescita è stata frenata soprattutto dal comparto industriale il cui valore aggiunto è cresciuto solo dell’1,2% a/a, contro il +6% dell’agricoltura e il +5,3% delle costruzioni. Molto più brillante è stata la crescita registrata in media dal comparto dei servizi: +5,9% per le vendite all’ingrosso e al dettaglio, +7,1% per i trasporti, +8,2% per i servizi di ristorazione e gli hotel e soprattutto +23,3% per l’intermediazione finanziaria. Il rallentamento del comparto industriale è in corso in realtà da qualche tempo: a partire dal 2011 (anno dal quale sono disponibili serie dettagliate) il suo peso sul Pil si è ridotto di quasi 5 punti percentuali, passando dal 43,2% (I semestre 2011) al 37,6% (I semestre 2015) a favore soprattutto del comparto dei servizi immobiliari, delle costruzioni, e in misura minore del commercio.

Il rallentamento del comparto industriale si rileva anche dall’andamento dei profitti delle imprese scesi, nei primi sette mesi del 2015, dell’1% rispetto allo stesso periodo del 2014. In particolare, si osservano cali fortissimi nei comparti legati all’estrattivo e nella manifattura di metalli ferrosi, mentre sono risultate più contenute le contrazioni dei profitti delle imprese attive nella produzione dei motoveicoli e dei macchinari per impieghi speciali.

A sostenere l’economia cinese nella prima parte dell’anno sono stati quindi soprattutto il comparto delle costruzioni, dei servizi immobiliari e di quelli finanziari, realtà da tempo sotto osservazione per un gonfiamento dei valori che appare talvolta eccessivo. D’altro canto proprio il settore delle costruzioni è stato lo strumento spesso usato dal Governo per sostenere l’economia del paese nei momenti di difficoltà attraverso stimoli fiscali che hanno favorito un modello di crescita che oggi stenta dare frutti come in passato.

A destare maggiore attenzione in Cina è soprattutto l’andamento degli investimenti che, come si è osservato, hanno rappresentato l’asse portante della crescita del paese negli ultimi anni. In Cina gli investimenti rappresentano il 48% del Pil, un valore quasi triplo rispetto a quello che l’aggregato ha sul Pil dei principali paesi sviluppati (19% negli Stati Uniti e in Germania, e 17% circa in Italia).

Secondo i dati dell’ufficio di statistica cinese, nei primi sette mesi del 2015 gli investimenti in attività fisse sono cresciuti dell’11,2% su base annua, contro il +17% dello stesso periodo del 2014. Il dato del mese di luglio, in particolare, risulta dello 0,2% più basso della media dei sei mesi precedenti. A frenare l’aggregato è stata soprattutto la flessione degli investimenti in attività estrattive, ma anche nel manifatturiero (-0,5% rispetto alla media dei sei mesi precedenti). Il rallentamento evidenziato dai dati ufficiali sembra comunque molto contenuto, e certo non tale da giustificare l’enorme calo nella domanda di materie prime (soprattutto ferro, rame e alluminio) da parte della Cina che negli anni passati ha sostenuto le economie di molti paesi emergenti esportatori di commodities (soprattutto in America Latina e Africa).

Alcune autorevoli istituzioni internazionali hanno osservato come gli investimenti in attività fisse non siano l’aggregato migliore per misurare il reale andamento degli investimenti produttivi, perché includono il valore della vendita dei terreni e di altri asset che di fatto non aumentano la dotazione di capitale del paese. Meglio sarebbe utilizzare gli investimenti lordi in capitale fisso, un valore che già nel 2014 è cresciuto solo del 6,6% a/a (dal 10,2% del 2013) e per il quale si prevede una crescita non superiore al 4-5% su base annua quest’anno (che scende a zero se si considera il valore netto dell’aggregato).

In Cina la domanda di investimenti è attivata soprattutto dall’immobiliare (25%), dalla realizzazione di infrastrutture (20%, in gran parte finanziate da amministrazioni locali attraverso istituzioni finanziarie dedicate – Local government financing vehicles) e dal comparto manifatturiero (33%), tutti settori in cui il rallentamento è evidente. Gli investimenti immobiliari da gennaio a luglio sono cresciuti del 4,3% su base annua, meno di un terzo di quanto erano cresciuti nei primi sette mesi del 2014.

Nel comparto manifatturiero l’accumulo di scorte (che a luglio risultavano pari a 10,8 mesi di vendite) ha raggiunto un livello tale da frenare la produzione per un periodo di tempo molto lungo. A livello locale poi gli investimenti delle Local government financing vehicles hanno da tempo un rendimento decrescente, pari a circa il 3% che si confronta con un tasso d’interesse medio sui prestiti del 7% circa, e l’emissione di nuovi bond rimane ampiamente al di sotto rispetto ai livelli dello scorso anno.

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