Skip to main content

Ecco gli Stati che si gioveranno di più dell’accordo sul nucleare iraniano. Report Confindustria

Usa

Lo storico accordo (il Joint Comprehensive Plan of Action) firmato a Ginevra il 14 luglio 2015 tra il gruppo dei paesi 5+1 (Stati Uniti, Germania, Francia, Cina, Russia e Gran Bretagna) e l’Iran stabilisce un programma di lungo termine con limitazioni concordate sul nucleare iraniano e comporta la revoca progressiva, graduale e reversibile delle sanzioni economiche fino ad ora adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, da Stati Uniti e dall’Unione europea nei confronti dell’Iran.

L’apertura commerciale che questo piano implica avrà un impatto diretto
sulla crescita dell’economia iraniana già nel 2015 (+3,3%) con una successiva accelerazione per il biennio 2016-17 (+5,1% e +5,5%), inoltre ridistribuirà i pesi tra i partner commerciali iraniani con un beneficio per i paesi europei. La World Bank stima anche una riduzione di 10$ al barile del prezzo dell’oil nei primi mesi del 2016 con un effetto netto positivo sulla domanda globale.

Dal 2006 le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno imposto un insieme di sanzioni economiche, inasprite ulteriormente dal 2010, in modo da restringere, sebbene in modo asimmetrico, gli scambi commerciali tra l’Iran e il resto del mondo, al fine di ostacolare
il programma nucleare iraniano. Successivamente, nel corso del 2013, dopo l’inasprimento delle sanzioni economiche, che hanno contribuito alla recessione del paese (-6,8% nel 2012 e -1,9% nel 2013), l’Iran si è impegnato a limitare e rivedere il proprio programma nucleare, avviando i
negoziati insieme al gruppo dei ‚5+1‛ che si sono chiusi con l’accordo.

L’attuazione di questo accordo prevede l’eliminazione delle sanzioni in due fasi principali: l’Implementation day (databile all’inizio del 2016, che comporta l’eliminazione della quasi totalità delle sanzioni) e il Transition day (ultimo trimestre 2023 in cui verranno abolite leultime sanzioni). Tale percorso ovviamente è reversibile sia nel caso in cui l’Iran non rispetti il programma accettato a luglio 2015 sul nucleare sia se gli USA e la UE re-introdurranno le sanzioni senza giustificato motivo. La UE, data l’importanza economica e politica che riveste
l’Iran, ha posto le basi per una più stretta cooperazione, contemplando anche l’uso di strumenti quali: i crediti all’esportazione, per facilitare il commercio; il project financing; gli investimenti. Tutte leve che in questi anni sono state messe fuori uso dalle sanzioni.

Tale accordo avrà tre principali effetti sull’economia iraniana: aumenterà notevolmente gli introiti derivanti dalla vendita di petrolio, poiché nel giro di pochi mesi, all’inizio del 2016, l’Iran ha annunciato che immetterà sul mercato mondiale un ulteriore milione di barili al
giorno; recupererà gradualmente il 13,5% del suo export totale (pari a 17,1 miliardi di dollari) perso durante il periodo di maggior inasprimento delle restrizioni (2012-2014); attrarrà investimenti dall’estero, tanto che la World Bank (WB) stima che nel 2016-2017 l’Iran riceverà mediamente flussi per 3-3,2 miliardi di dollari all’anno, il doppio di quanto arrivato nel 2015 ma appena un terzo del picco del 2003. Il Paese ha 14 economic zone e 7 free trade zone, dove gli investitori stranieri godono di esenzioni fiscali per un periodo di 20 anni, della
completa libertà di movimento di capitali e profitti e dell’assenza di dazi all’import. Quest’ultima agevolazione appare cruciale in quanto per alcuni prodotti i dazi possono arrivare al 65% del loro prezzo (per esempio, ciò accade per i beni alimentari).

Tutto ciò produrrà effetti anche sull’economia globale in termini di: riduzione del prezzo del greggio e ricomposizione commerciale tra i principali partner iraniani. Nell’ipotesi che non ci sia nessun cambiamento di strategia da parte degli altri esportatori netti di oil, un milione di barili al giorno in più venduto all’estero dall’Iran determinerà un’ulteriore riduzione del 14% del prezzo del greggio, ovvero di 10 dollari al barile nel 2016. Tale riduzione peggiorerà ulteriormente il bilancio pubblico degli altri esportatori netti di oil mentre avrà un impatto positivo per i grandi importatori di petrolio, come gli Stati
Uniti e l’Unione europea.

L’eliminazione delle restrizioni sulle transazioni economico-finanziarie comporterà un aumento del commercio bilaterale tra l’Iran e l’Europa a scapito degli attuali partner, Asia e Medio Oriente, che durante il periodo delle sanzioni hanno sostituito i partner occidentali. Secondo un’analisi della WB i paesi che beneficeranno di più dell’apertura commerciale sono: Gran Bretagna, Cina, India, Turchia e Arabia Saudita.

Le sanzioni hanno avuto effetti distorsivi sul commercio bilaterale iraniano con il resto dei paesi colpiti; in particolare il peso dell’UE come mercato di destinazione dei prodotti iraniani ha subito una forte riduzione passando da più del 21% delle esportazioni iraniane nel 2005 a meno del 6% nel 2014. Le esportazioni iraniane in questo periodo si sono riorientate verso i paesi asiatici in via di sviluppo, Cina e India in particolare, che nel 2014 ne hanno rappresentato quasi il 60%.

Ovviamente anche per i mercati di fornitura la situazione ha subito una importante rivoluzione: hanno perso quote i paesi UE (dal 41,3% nel 2005 sul totale delle importazioni iraniane al 9,5% nel 2014) e ne hanno guadagnate Cina, India e Emirati Arabi Uniti (nel 2005 rappresentavano
poco più del 27% e nel 2014 quasi il 78%). In particolare quest’ultimo paese svolge un ruolo di transito per le merci dirette in Iran, soprattutto per via della presenza delle zone economiche speciali. Inoltre, la ricomposizione geografica dell’import iraniano può essere ricondotta anche al fatto che gli operatori iraniani, per compensare la carenza di valuta estera dovuta ai mancati proventi della vendita di idrocarburi verso i paesi sanzionatori e all’esclusione dal circuito internazionale dei pagamenti (in seguito al congelamento dei conti
esteri dei residenti iraniani), hanno ricorso il più possibile ai crediti maturati dalla vendita di petrolio ai paesi non sanzionatori, tra cui Cina, Corea del Sud e India.

Altro effetto delle sanzioni è stato non solo lo stop degli IDE in entrata nel paese nel 2012 e nel 2013, ma anche la loro fuoriuscita. I capitali esteri sono fondamentali in un paese come l’Iran, la cui quota di investimenti domestici è pari appena al 5% del PIL e che inoltre presenta rilevanti carenze infrastrutturali che costituiscono un collo di bottiglia per lo sviluppo del Paese.
Gli IDE, per la maggior parte greenfield, che l’Iran ha ricevuto fino al 2008 erano indirizzati prevalentemente al settore petrolifero e del gas. Sono attesi arrivare investimenti da Emirati Arabi, Stati Uniti e alcuni paesi europei, tra cui l’Italia; per Francia e Norvegia si tratta di un
ritorno poiché già presenti con joint venture (France’s Total e Norway’s Statoil) prima delle sanzioni economiche. Anche l’industria automobilistica iraniana, che rappresenta il 10% del PIL e vede presenti anche importanti multinazionali europee (Volkswagen e Peugeot), attrarrà nuovi capitali; prima del 2012 erano pari a 1,6 milioni le immatricolazioni di auto all’anno, contro i 700mila veicoli post-sanzioni. Il parco auto appare obsoleto a causa sia dell’embargo di alcuni importanti componenti sia del deprezzamento del rial (tra il 2012 e il 2014 ha perso quasi il 53% rispetto al dollaro) che rende molto costoso l’acquisto di componenti dall’estero.

Un possibile effetto negativo dell’accordo può venire dall’apprezzamento del rial, che renderebbe meno competitivi i prodotti esportati.
La crescita economica di cui beneficerà l’Iran nei prossimi anni rappresenta un’opportunità per le imprese italiane, visto il legame commerciale tra i due paesi. Nel 2000 l’Italia rappresentava, a pari merito con la Russia, il terzo fornitore dell’Iran (l’11% delle importazioni iraniane provenivano dall’Italia), dopo la Germania (19%) e gli Emirati Arabi (14%). La meccanica costituiva oltre il 50% delle esportazioni italiane al Paese. Dal 2006 l’Italia ha perso molte posizioni, pur rimanendo, nel 2014, il nono esportatore in Iran con un peso del 2%. Dal lato delle importazioni italiane, fino al 2011 l’Iran rappresentava il terzo principale fornitore di petrolio greggio; successivamente l’import si è quasi annullato.

L’interesse delle imprese italiane è testimoniato anche dai loro investimenti diretti esteri che, nel corso del tempo, in termini di numero di partecipazioni sono continuati a crescere. La concreta possibilità di raggiungere un accordo ha sospinto l’interscambio già nei primi cinque mesi del 2015: le importazioni dell’Italia dall’Iran sono aumentate in valore del 135% rispetto ai primi cinque mesi del 2014, mentre le esportazioni sono cresciute quasi del 24%. Ipotizzando la piena applicazione dell’accordo, le esportazioni italiane verso l’Iran potranno tornare a crescere al ritmo di lungo periodo pre-sanzioni (1991-2005), pari al 5,0% medio annuo.

Leggi qui l’analisi completa del Centro studi di Confindustria

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter