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Con Yellen la Fed è diventata la banca centrale del mondo

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Ancora una volta i tassi sui fed funds sono rimasti fermi. Il FOMC registra l’ulteriore miglioramento del mercato del lavoro e i nuovi passi avanti sulla strada della riduzione delle risorse inutilizzate, ma ritiene sempre “appropriato” per i tassi il range fra 0 e 0,25%. Ancora una volta si ripete che è probabile che il primo rialzo avvenga entro fine anno. Ancora una volta
le proiezioni di disoccupazione e inflazione sono riviste all’ingiù. E ancora una volta la stima del tasso di disoccupazione di più lungo termine è più bassa. Anche se tutto quello che emerge dalla riunione ha un sapore di déjà vu, ci sono molte novità rilevanti per lo scenario della politica monetaria della Fed.

Che cosa ha fermato la mano della Fed a una riunione che fino a poche settimane fa la banca centrale e i mercati prevedevano avrebbe suggellato la svolta dei tassi? La comunicazione postriunione, in tutte le sue forme (comunicato stampa, conferenza stampa di Yellen e sommario delle proiezioni economiche) fornisce molti tasselli per decifrare la decisione di settembre e cercare di prevedere il sentiero futuro dei tassi.

1) Perchè tassi fermi? Il FOMC si è attenuto a quanto detto a luglio: per una svolta sui tassi dovevano essere soddisfatte due condizioni “domestiche” e dovevano essere valutati gli “sviluppi finanziari e internazionali”. Sul fronte delle condizioni domestiche una è chiaramente soddisfatta: “Il mercato del lavoro ha continuato a migliorare”; l’altra invece è ancora incerta: la “ragionevole fiducia” in un ritorno dell’inflazione verso il 2% nel medio termine è messa in dubbio dalla recente evoluzione di petrolio e prezzi all’import. Per quanto riguarda le condizioni finanziarie e internazionali, si registrano sviluppi avversi: le condizioni finanziarie si sono fatte più restrittive (e Yellen cita esplicitamente il cambio) e la volatilità indica stress per le economie emergenti e peri produttori di materie prime, che rischia di aumentare il freno alla crescita esercitato dal canale estero. Il bilancio dei rischi ha fermato il FOMC: lo scenario centrale rimane positivo e solido (anzi la crescita per il 2015 è rivista verso l’alto), ma a fronte di rischi in aumento si ritiene meno costoso aspettare qualche mese per raccogliere informazioni.

2) Quali condizioni per la svolta? La svolta sui tassi avverrà quando si sarà almeno parzialmente dissipata l’incertezza attuale su due fronti: il ritorno dell’inflazione al 2% e il rallentamento delle economie emergenti. Per quanto riguarda il primo punto, Yellen ha sottolineato che il nuovo calo del prezzo del petrolio e la recente ripresa del sentiero di apprezzamento del dollaro dovrebbero avere effetti transitori sull’inflazione; a suo avviso un fattore determinante per aumentare la fiducia sul rialzo dell’inflazione è ulteriore miglioramento del mercato del lavoro. Questo punto è stato ripetuto più volte, sottolineando che maggiore convinzione che il mercato del lavoro ha raggiunto il pieno impiego implica maggiore fiducia che ci sia una trasmissione di pressioni verso l’alto sui prezzi. In questo senso, per soddisfare la condizione sull’inflazione potrebbe bastare vedere nuovi progressi nel mercato del lavoro. Per quanto riguarda le condizioni finanziarie e internazionali, non è sufficiente vedere la reazione immediata di tassi e cambi post-riunione per prevedere un allentamento dello stress finanziario: la Fed non risponde a volatilità di breve ma a movimenti che possono segnalare cambiamenti duraturi. Sarà quindi da seguire l’evoluzione delle economie emergenti, non solo la Cina ma anche i produttori di materie prime (Yellen ha citato il Canada, per esempio), monitorando gli sviluppi economici e finanziari (Yellen fra i segnali di stress ha anche citato le vendite di riserve da parte delle autorità in molti paesi). Queste condizioni sono più vaghe, ovviamente. Per ora il Comitato ritiene che la combinazione di incertezze domestiche e internazionali possa dissiparsi entro fine anno. Si rileva però che un partecipante prevede tassi negativi nel 2015 e 2016, con un primo rialzo nel 2017, e tre partecipanti ritengono opportuno iniziare i rialzi nel 2016. A giugno tutti i partecipanti meno uno prevedevano la svolta entro fine 2015. Un rialzo entro dicembre rimane lo scenario centrale, ma è circondato da maggiore incertezza rispetto a inizio settembre.

3) La valutazione dell’economia nel lungo termine è cambiata? La risposta è sì, su diversi fronti. Prima di tutto a livello domestico la Fed ancora una volta ha rivisto verso il basso il tasso di disoccupazione di lungo termine (ora è a 4,9%, prima era 5%) e il punto di arrivo dei tassi di interesse (prima era 3,75%, ora è 3,5%). Per quanto riguarda la crescita di più lungo termine, la mediana resta al 2%, ma l’intervallo di stima si abbassa: da 2-2,3%, la stima centrale scende a 1,8-2,2%. La Fed si adatta al fatto che il tasso neutrale si riduce in un’economia in cui la crescita di lungo termine scivola verso il basso. Inoltre, il mancato raggiungimento dell’obiettivo di inflazione pur in una situazione di pieno impiego induce a estrema cautela: le relazioni storiche fra variabili economiche sono modificate anche dall’interazione con il resto del mondo. Per questo la Fed vuole essere “ragionevolmente fiduciosa” del futuro rialzo dell’inflazione prima di alzare i tassi. Yellen ha detto che l’obiettivo di inflazione non è un “soffitto”, ma deve essere raggiunto in media, perciò implicitamente si accetta che un rialzo ritardato dei tassi che porti eventualmente a un overshooting dell’inflazione non è considerato tabù. In conclusione l’economia USA ha una velocità di crociera e tassi neutrali più bassi, ed è influenzata in misura rilevante dalle condizioni internazionali, fra cui crescita mondiale e cambio. Quest’ultimo punto è emerso solo recentemente (influenza di S. Fischer?): è una modifica sostanziale dell’economia globale, di cui anche le banche centrali più orientate all’interno, come la Fed, prendono atto.

4) La funzione di reazione è cambiata? Nella sostanza, la funzione di reazione appare in linea con l’evoluzione del “Fed-pensiero” post-Grande Recessione. Il punto cruciale della funzione di reazione della Fed sta nella gestione dei rischi, che richiede una valutazione dei costi relativi delle diverse opzioni in caso di conflitti fra gli obiettivi. Questa era la filosofia di Bernanke e resta quella di Yellen. Un altro punto fermo è che le svolte importanti sono preparate con anticipo: questa Fed non ama sorprendere, e tende a non farlo, se possibile. Un cambiamento di rilievo però riguarda gli argomenti della funzione di reazione: il contesto internazionale (cambio, crescita mondiale, condizioni finanziarie) è diventato un fattore importante per via della sua rilevanza per l’economia USA: “il Comitato continua a vedere i rischi allo scenario per l’attività economica e il mercato del lavoro come circa bilanciati, ma sta monitorando gli sviluppi all’estero”. Questa affermazione non avrebbe trovato posto in un comunicato stampa un anno fa, ora invece gli sviluppi internazionali hanno la responsabilità per la pausa prima della svolta.

5) Rialzi dei tassi: quando e quanto? Obiettivamente la riunione di ottobre appare un po’ troppo vicina perché l’incertezza sugli sviluppi all’estero si diradi. A livello domestico, per fine ottobre ci sarà un solo employment report: già oggi sappiamo che sarà brillante (i nuovi sussidi di disoccupazione nella settimana di rilevazione sono scesi a 264 mila, e puntano a un aumento solido di occupati e a un possibile ulteriore calo del tasso di disoccupazione). Quindi anche se un rialzo a ottobre è possibile, potrà diventare probabile solo se ci saranno dati incoraggianti sul fronte della domanda internazionale (stabilizzazione della crescita in Cina), ma riteniamo che anche dati positivi darebbero solo informazioni parziali. Dicembre è più probabile: ci saranno tre mesi di dati in più sul mercato del lavoro, e si potrà avere un quadro un po’ meno confuso dell’evoluzione dei paesi emergenti. Quindi oggi prevediamo che il rialzo avvenga a dicembre e sia seguito con estrema gradualità da due o tre rialzi nel 2016. Il segnale che l’inflazione potrà fare overshooting dovrebbe un po’ alla volta essere assorbito e dare il via a una fase di ulteriore allentamento delle condizioni finanziarie. Infine, con l’esperienza di settembre, si registra che se non c’è un consenso formato all’interno del FOMC e trasmesso al mercato, la Fed preferisce aspettare e preparare. Ancora molto lavoro di esegesi per i Fed-watchers!

Conclusioni. Il FOMC a settembre rinvia il rialzo e attribuisce la pausa al monitoraggio degli “sviluppi all’estero”, oltre che all’allontanamento, se pure transitorio, del ritorno dell’inflazione al 2% (ora spostato al 2018). La Fed continua a decidere sulla base dello scenario dell’economia USA, ma ora diventa anche in qualche modo la banca centrale del mondo: nella nuova economia globale interconnessa, neppure il FOMC può più scindere le condizioni interne da quelle dei suoi partner commerciali e delle sue controparti sui mercati finanziari. Lo scenario centrale del FOMC rimane coerente con una svolta entro fine anno, seguita da un sentiero graduale di (pochi) rialzi, spalmati su tre anni. Cina ed emergenti permettendo.


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