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Germania, gli immigrati e gli editori

Quasi cento anni fa, era l’indomani del 1917, il quartiere di Charlottenburg si popolò di Russi. Dei bianchi costretti alla fuga dalla rivoluzione bolscevica. Mezzo milione di russi si riversò nella sola Berlino, l’esodo dalla Russia fu di tre milioni. Numeri biblici capaci di ridimensionare il presente. L’Europa stava per uscire dalla I Guerra Mondiale e, dunque, altro che crisi della finanza, si era con le pezze sul sedere un po’ dovunque. Eppure la Germania rimosse qualunque controllo dalle frontiere. Non mise ostacoli all’ingresso di così tanti russi. Questi fecero russa un pezzo della città. Parrucchieri, spacci, teatri, circoli. Strade intere erano russe. Un trapianto. Nessun rigetto.
In mezzo milione di russi a Berlino finirono le migliori menti quanto a cultura e arte della Russia del Novecento. Chodasevic, Gor‘kij.
Cosa assai curiosa, a Berlino in quegli anni si contavano circa ottantasei editori russi. Era più facile pubblicare per un russo che per un tedesco, infatti. Ecco, per dire. Roba che al Salone del Libro di Torino ci sarebbe da fregarsi le mani se tra tutti quei rifugiati che accogliamo ce ne fossero anche solo la decima parte.

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