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James Dean, 60 anni senza il leggendario ribelle

Era il 30 settembre del 1955 quando James Dean a bordo della sua porsche 550 Spyder (la maledetta “Little Bastard”) si schiantò contro la Ford di Donald Gene Turnupseed, riportando lesioni gravissime che lo portarono in seguito alla morte.

Sono passati 60 lunghi anni, il mondo è cambiato ma di un personaggio come James Dean se ne sente ancora il bisogno. In primo luogo perchè il ragazzo, quel “piccolo principe” scomparso a soli 24 anni, fu per le controculture a venire modello ispiratore, esempio raro di poesia in azione, capace di ergersi a faro per registi di immenso talento (Robert Altman fra tutti), di sintetizzare il rock’n’roll (difficile immaginare un Elvis senza Dean, vista l’ossessione che il cantante nutriva per il divo) e di traghettare idealmente gli anni cinquanta verso la fine degli anni sessanta in largo anticipo sui tempi; in secondo luogo perché Jimmy Dean, seppure cannibalizzato (e deformato dall’industria dell’intrattenimento nella figura bidimensionale del ribelle) fu un genio ignorante, una sorta di Rimbaud cinematografico (o per citare Truffaut: un eroe baudleriano), qualcuno capace di cambiare le carte in tavola.

Sarebbe quindi inutile riportare qui le innumerevoli citazioni a lui dedicate, basterebbe la considerazione lapidaria di Martin Sheen (che si cimentò in una rielaborazione di Dean per Terence Malick nel capolavoro “La rabbia giovane”): “In ogni attore, se non in ogni uomo, c’e’ traccia di James Dean”.

Si dice che in ambito musicale il terzo disco sia la prova più difficile, il momento della consacrazione. James Dean non riuscì a godere del suo successo e, in parallelo, quando il suo terzo film approdò nelle sale, il divo nascente era già morto. L’impatto fu devastante. Con soli tre film quel ragazzo dell’indiana entrò nel cuore della cultura popolare, non solo giovanile. I detrattori moderni dicono che il suo modo di recitare fu eccessivo (ma fu proprio un grandissimo attore come Carmelo Bene a sostenere: mi interessa l’eccesso dell’uomo come dell’arte, mi interessa l’eccesso dell’arte!) ma la verità è che proprio quella maniera di esprimersi generò una serie infinita di piccoli e grandi James Dean così come nella storia dell’arte i maestri della pittura generarono una serie di imitatori che poi trovarono il loro stile. Dean fu una porta che si chiuse troppo presto e c’è da domandarsi cosa sarebbe accaduto se fosse riuscito a scrivere il suo primo film da regista che, secondo testimonianze dell’epoca, avrebbe fatto tremare quella Hollywood Babilonia che ne spolpò i resti.

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