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La Germania di Schäuble e l’Italia di Renzi

Indovinate chi ha scritto: “La mia prima motivazione circa la necessità di un’unificazione europea […] è che essa rappresenta il tentativo che ha fatto i maggiori progressi riguardo alle strutture di governo e ai nuovi ordinamenti che anche il mondo globalizzato dovrebbe realizzare. Dunque, queste nuove strutture di governo e questi nuovi ordinamenti europei costituiscono anche un contributo a quella responsabilità che in quanto europei, considerando il ruolo storico-universale che abbiamo svolto nei secoli passati, non dovremmo sottovalutare“.

Sono le parole di qualche padre fondatore dei Trattati di Roma, di Jacques Delors, di Giorgio Napolitano? No, sono le parole di quel cattivone di Wolfgang Schäuble (Frankfurter Allgmeine Zeitung, 12 gennaio 2013). È vero, il ministro delle Finanze tedesco allora sprizzava un ottimismo forse eccessivo sulla possibilità di superare una crisi di consenso senza precedenti presso l’opinione pubblica del progetto europeista. E’ però rimasto sempre fedele alla sua idea: l’unione politica del Vecchio continente non può non avere come modello di riferimento l’unico che abbia dato buona prova di sé, dal punto di vista sociale e dell’efficienza economica. Mi riferisco a quell’ordoliberalismo e a quel federalismo solidale che un costituzionalista benvoluto a sinistra come Valerio Onida ha definito “l’esperienza più significativa di federalismo in uno Stato nazionale forte”. Il ruolo egemonico della Germania sta anche qui, come dimostra la stessa recente iniziativa assunta da Angela Merkel sulla questione dei migranti. Volerlo esorcizzare è un gioco puerile.

Ma con l’austerity e la Grecia come la mettiamo?, obietteranno subito i Varoufakis de’ noantri. Con l’austerity e la Grecia la mettiamo così: “Non è percorribile la via di un ulteriore indebitamento – come ha detto Mario Draghi – perché in tal modo noi graviamo sulle generazioni a venire. Un aumento permanente della montagna di debiti sempre più alta non costituisce il fondamento per la giustizia sociale”.

L’italia di Renzi lo ha davvero capito? Il premier è pieno di buona volontà, ma intanto è costretto a scalare un’altra montagna: quella della riforma del Senato, che – bene che vada – partorirà il classico topolino.

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