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“Le dissonances” al Festival Enescu

Alcuni numeri riassumono il Festival Enescu che ogni due anni a settembre è diventata la prosecuzione naturale di coloro che in luglio-agosto si recano al Festival Estivo di Salisburgo: 22 giorni di festival; 22 lavori di Enescu eseguiti dai maggiori complessi mondiali; tre Baronetti britannici tra gli artisti; Simon Rattle; Roger Norrington e Andreas Schiff; dieci vincitori del concorso internazionale (abbinato da alcuni anni al Festival); 11 tonnellate di attrezzature unicamente per i concerti dei Berlin Philarmoniker; 9,000 notti di albergo prenotate per gli artisti; 1200 voli aerei di linea, 14 charter e due cargo; oltre mille litri di acqua, 9000 tasso di caffè, e 3000 di te predisposte per gli artisti durante gli intervalli.

Queste cifre danno un’idea dello sforzo, e dell’interesse, di una manifestazione biennale nata nel 1958, che, dopo una fase di difficoltà negli Anni Settanta, è diventato, dal 1990 è diventato uno dei maggiori appuntamenti musicali mondiali. Quest’anno, ad esempio, presenta cinque opere, concerti delle 26 maggiori orchestre internazionali ed una vasta serie di cameristica e contemporanea. Bucarest pullula di giovani anche in quanto i prezzi di biglietti, hotel, ristoranti sono fortemente competitivi con quelli di manifestazioni analoghe.

In tre giorni a Bucarest ho visto ed ascoltato tre opere e tre concerti; il programma è intenso con concerti che iniziano spesso alle 11 del mattino e di cui l’ultimo della giornata comincia alle 22,30 ( e termina attorno alle 2 della mattina successiva). In questa nota mi concerto su due concerti dell’ensemble francese “Les Dissonance”, una formazione molto particolare in quanto non ha un vero e proprio direttore d’orchestra; di volta in volta ne prende le funzioni uno dei solisti. In effetti, si tratta di un gruppo di solisti che amano suonare insieme Il segreto consiste nel grande numero di prove che produce sonorità perfettamente amalgamate.

Altro aspetto è che i concerti sono stati tenuti nello Ateneul Román, un vero e proprio gioiello inaugurato nel 1888. Una sala di concerto ideale, con non più di ottocento posti e due ordini di palchetti per quattro persone ciascuno. Sotto il soffitto a cupola, un murale racconta la storia dei romani dai tempi degli antichi romani alla formazione del Regno. E’ inserita in un delizioso parco e fronteggia il Palazzo Reale. Mentre il Palazzo (ora museo) è stato distrutto due volte, prima dai bombardamenti dell’Armata Rossa e poi dalla rivoluzione del 1969, i romeni eressero difese speciali per il loro Ateneul considerato quasi il simbolo dello splendore della città in quelli che allora erano i nuovi quartieri art nouveau , pianificati ad immagine di Parigi.

I due concerti includevano nella seconda parte brani molto noti come la quinta sinfonia di Beethoven e la prima sinfonia di Brahms, ambedue eseguiti, senza direttore, in modo eccellente da un gruppo chiaramente molto coeso.

Di maggior interesse la prima parte dei due concerti. Il 13 settembre ad un brano noto La Mer di Debussy ha fatto seguito il Capriccio romeno di per viola (David Grimal) e orchestra- una vera esplosione di gioia con richiami anche alla musica etnica. Il 14 settembre, si è preso il via con un brano di Schnittke denso di ironia (Moz-Art à la Haydn) – e pensare che si crede che tutti i compositori sovietici siano noiosi, seguito da una melodica sinfonia concertante per violoncello (Xavier Phililps) ed orchestra. Applausi e bis.

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