I numeri e le notizie di cronaca sono impressionanti. Sono ormai migliaia i profughi che arrivano quotidianamente in Europa attraverso la rotta mediterranea o quella balcanica e sono decine quando non centinaia quelli che periodicamente trovano la morte in questo viaggio della speranza. A monte dell’ esodo la povertà e la pressione demografica oppure le guerre e le situazioni geopolitiche di grandi parti del Medio Oriente e dell’Africa con l’avanzata del Califfato islamico e le violenze che vengono esercitate sulla popolazione.
Una situazione che a detta di tutti gli esperti è destinata a durare anni. Addirittura decenni, almeno fino al 2050, secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni. Anche volendo lasciare da parte i profughi originati da situazioni di guerra, ma le statistiche dicono che solo dalla Siria arriveranno in Europa nei prossimi anni 5 milioni di persone, è la pressione demografica dell’Africa che alimenterà per anni il flusso migratorio. Basti considerare alcuni dati. Fra 30 anni l’Africa avrà una popolazione che sarà tre volte quella dell’Europa e mentre la popolazione europea sarà in larga parte anziana, il tasso di fertilità per donna è inferiore al 2,1% che è il livello che permette alla popolazione di restare in equilibrio, quella africana, dove le donne hanno un tasso di fertilità superiore al 6%, sarà in larghissima maggioranza giovane. Addirittura nei paesi a sud del Sahara, Ciad, Niger e Mali, l’età media sarà inferiore a 15 anni. Una massa di giovani che non trovando nel proprio paese condizioni economiche e sociali che permettano un’esistenza dignitosa saranno costretti ad emigrare. Se a questo si aggiungono i conflitti e le situazioni di guerra che scoppiano in continuazione ai margini dell’Europa, si può avere un quadro realistico di quella che sarà la situazione nei prossimi anni.
Pensare di fermare questa marea umana con i respingimenti, i rimpatri o i muri di filo spinato significa non aver capito le dimensioni del problema. E’ indispensabile mettere in campo una “politica” che non può che essere comune a tutta l’Europa. E’ l’Europa, tutta insieme, che deve lanciare verso i Paesi africani un grande “Piano Marshall” finalizzato a creare in loco occasioni di lavoro. Miliardi di investimenti per sviluppare l’istruzione e far crescere l’economia cercando, nel contempo, di stabilizzare la situazione politica di Paesi che troppo spesso sono in mano ad una classe politica assolutamente inadeguata. Questo secondo aspetto del problema è particolarmente delicato. L’Europa, e con l’Europa, tutto l’Occidente, troppo spesso rinuncia a difendere i propri valori, politici, sociali, culturali, religiosi. Due fra le voci più importanti di questa parte del mondo, quella fra l’altro largamente più sviluppata, il Papa e il Presidente degli USA, sono come ripiegati su se stessi. Quasi si vergognano dei successi ottenuti. Quasi sembrano voler chiedere scusa, come se questi successi fossero stati ottenuti a scapito dei paesi più poveri. E’ la tesi che molti, troppi, fanno circolare. E’ invece esattamente il contrario. Quel “liberismo” che da più parti viene messo sotto accusa è il sistema che, pur con tanti limiti e difetti, ha permesso anche al terzo e quarto mondo di progredire, sia pure in modo diverso dall’occidente. Negli ultimi 30 anni la povertà e la fame si sono ridotte ad un ritmo esponenziale. Certo ancora molta strada è da fare. Ma l’unico modo per farla è aumentando e non diminuendo le libertà politiche, economiche e sociali. In altre parole l’Europa e l’Occidente mentre “investono” nei Paesi soggetti ai flussi migratori non possono rinunciare a regolamentare con la forza politica, culturale e se serve anche militare le aree di crisi che si manifestano in modo particolare ai propri confini.
Non si tratta di essere altruisti, egoisti, imperialisti o terzomondisti. Si tratta solo di essere realisti e di governare un mondo che lasciato a se stesso produrrebbe risultati che per tutti sarebbero infinitamente peggiori.