Quanto è brutta l’attualità che racconta le dinamiche competitive nel settore dell’automobile dell’oggi di fronte al passato. Le crisi nel mercato dell’auto ci sono sempre state, spinte dal quadro generale. L’auto, proprio perché è l’Idrovora per eccellenza del capitalismo schumpeteriano, è sempre stato il primo settore a risentire degli scossoni globali che vengono dalle tensioni politiche, finanziarie o valutarie. Solo che oggi – così siamo ridotti – la partita si gioca sul piano regolatorio, nascondendo la mano che ha scagliato il sasso dietro a quelle cosucce da mezze calzette come il clima, l’ambiente. Le emissioni. Le centraline truccate. Nell’ipocrisia generale alimentata dalla stampa globale allineata come un plotone di fanteria.
All’indomani della seconda guerra mondiale, quando tutto il mondo stava leccandosi le ferite, negli USA, la Ford pativa la crisi. In particolare, calavano gli acquisti di auto di media e grossa cilindrata che erano i segmenti in cui Ford era più presente, mentre crescevano i volumi di vendita delle auto compatte. Giusto il segmento in cui cresceva il successo del maggiolino Volkswagen. Erano i primi anni 50, e a smorfiare le tendenze mutate dei gusti americani in fatto di automobili, fu un certo Robert McNamara. Fu lui a spiegarle, con tanto di grafici e di scriminatura, a Henry Ford II.
Irlandese d’origine, nato nella middle class e riempito di studi statistici, ufficiale dell’aviazione, una specie di Spear tedesco, McNamara convinse Henry Ford II a elaborare il progetto di una nuova vettura più vicina al mercato. McNamara fu il padre putativo della Ford Falcon. L’auto con cui la Ford e l’America vinse la sua partita contro la Volkswagen e la Germania.
McNamara e la Volkswagen
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