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Perché Leon in Libia sta fallendo

Formiche.net pubblica alcuni estratti di “Il libro nero del Califfato” di Carlo Panella, giornalista e saggista. Il libro è edito da best Bur, Rizzoli (2015). Notizie e commenti sulla Libia e sulla mediazione dell’Onu si possono leggere in questo articolo di ieri di Formiche.net.

Nessuna forza politica o tribale, nessuna coalizione politica, nessuna milizia o alleanza di milizie o partiti è in grado di esercitare la sovranità nazionale in Libia. Il tentativo dell’Onu e dell’Italia di costruire una mediazione tra le parti sta fallendo. L’unica soluzione è imporre un governatore dell’Onu, sostenuto da un massiccio e combattivo intervento militare sul modello dell’Iraq 2003. Oppure abbandonare la Libia al suo destino, evitando le mezze misure e la palude Onu.

Come già era accaduto per lo sfondamento in Iraq, l’Occidente si è reso conto con incredibile ritardo della sconvolgente forza d’attacco delle milizie fedeli al Califfano in Libia. E’ stato poi obbligato a prendere atto di una seconda novità decisiva: per la prima volta del 2011 gli impianti petroliferi sono stati messi sotto attacco dei jihadisti, a partire dai pozzi, per continuare con le piperlines e con i terminali a mare.

(…) Le onde del caos libico hanno così investito in pieno l’Italia, privata delle ricorse energetiche, costretta a far rientrare tutti i suoi connazionali, a chiudere precipitosamente la sua ambasciata di Tripoli e oggetto di nuovi flussi di clandestini. In questo contesto, prima il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, poi il premier Matteo Renzi, e il ministro della Difesa Roberta Pinotti hanno annunciato la disponibilità a partecipare a un’operazione militare in Libia “sotto l’egida Onu”. Immediata la risposta del Califfato: il 14 febbraio, al Bayan, la radio ufficiale dell’Isil, ha trasmesso da Mosul un comunicato in cui Gentiloni è stato definito “ministro dell’Italia Crociata”, con la minacciosa accusa di avere deciso di schierare il nostro paese con “le nazioni atee”, per combattere lo Stato Islamico.

E’ dunque ora indispensabile che l’Italia chiarisca la sia strategia politica e quindi militare, a partire da un esame non ideologico, ma concreto, delle dinamiche che hanno portato a questo disastro, peraltro annunciato.

Il primo punto agli atti è che la missione di mediazione Onu, gestita – malamente, al solito, dallo spagnolo Bernardino Leon – non solo sta fallendo, ma ha involontariamente favorito l’impianto e l’esplosione delle forze del Califfato. Una replica con carta copiativa della dinamica siriana, in cui l’inerzia occidentale e la mediazione delle Nazioni Unite per “una soluzione che può essere solo politica” hanno aperto il varco dell’irruzione del Califfato.

(…) Il vero punto focale di questa sanguinosa crisi avvitata su se stessa, motivo sostanziale del fallimento Onu, è che, come si è detto, in Libia on esiste più nessuna possibile coalizione di tribù, partiti o milizie in grado di esercitare la sovranità nazionale, neanche parziale. La ragione di quest’assenza totale e irrimediabile è semplice: il modo caotico – ed errato – con cui la Nato ha condotto la guerra ha permesso la formazione di una miriade di milizie locali che hanno una forza di 200.000 armati, secondo la valutazione di Ibrahim Sharqieh, vicedirettore del Doha Center del Brookings Institution.

(…) Ma l’Onu, in Libia, non ha valutato correttamente neanche il peso determinante – in negativo- degli interventi militari diretti e indiretti della Turchia, contrapposta all’Egitto, a sua volta contrapposto al Qatar. Tre nazioni che hanno manovrato e manovrano consistenti milizie locali, secondo strategie e dinamiche solo in parte libiche. Il mondo sunnita “moderato” e filoccidentale si è infatti drammaticamente spaccato a fronte del fallimento generale dei Fratelli Mussulmani dopo 2012.

Oggi, i due più grandi paesi musulmani del Mediterraneo, Turchia ed Egitto, si confrontano in un clima di guerra fredda, in cui è coinvolta anche l’Arabia Saudita, alleata dell’Egitto. Guerra che è diventata calda tra i loro clients in Libia. La somma delle spinte destabilizzatrici sui partiti e le milizie libiche degli interventi politico-militari turchi ed egiziani è stata, ed è, ben maggiore della controspinta verso la stabilizzazione esercitata da Italia e Onu.


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