Perché non vendere una parte di Poste a Cdp se proprio si vuole privatizzare in parte l’azienda statale? È la domanda finale con cui l’ex capo azienda di Poste, Corrado Passera, ora fondatore e presidente del partito Italia Unica, chiude l’intervento pubblicato sul Corriere della Sera. Tema? Siamo davvero sicuri che la dismissione e la quotazione di Poste sia un affare per l’azienda e il Paese?
Passera conosce bene l’azienda, visto che ne è stato amministratore delegato. E proprio in quel periodo non si ricordano sue dichiarazioni a favore della privatizzazione, in certi. Dunque la presa di posizione attuale non è solo dettata da un approccio critico che l’ex consigliere delegato di Intesa ha nei confronti del governo di Matteo Renzi. Infatti in rete si ritrova una sua dichiarazione come ad del gruppo Poste in cui si rimetteva all’esecutivo dell’epoca ogni decisione eventuale sulla vendita di una parte dell’azienda ex monopolista: “Noi – disse a settembre 2001 – dobbiamo mettere l’azienda in condizioni di funzionare e di avere i conti in ordine, quindi di essere potenzialmente quotabile. Per tanto l’azionista, e il Governo e il Parlamento decideranno, quando lo riterranno opportuno, se necessario procedere ad una dismissione di una parte del capitale“.
E ora sul Corriere scrive: “La quotazione di Poste sembra cosa fatta, ma spero che il Governo ci ripensi perché si rivelerebbe un grave errore. La mia contrarietà non si fonda su ragioni “ideologiche”: più volte ho detto che sono favorevole alla privatizzazione di quasi tutte le 10.000 partecipate pubbliche. È la quotazione di Poste ad essere sbagliata, per tre ragioni principali“.
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Per Passera, che pur si professa di essere un politico liberale e ben poco statalista, sono tre gli errori che il governo commetterebbe in caso di quotazione in Borsa di Poste Italiane:
ERRORE PER I CITTADINI. Quotare le Poste significa privarsi di un’infrastruttura sociale e amministrativa che assicura il servizio postale universale, servizi di gestione del risparmio e assicurativi nonché servizi universali di pagamento a cittadini e imprese. Inoltre, costituisce sportello della PA (e in tanti Comuni l’unico). Molti servizi di corrispondenza sono in perdita e in calo di volumi: la liberalizzazione progressiva dei servizi postali porterà a privatizzare i pochi segmenti del mercato profittevoli e a scaricare su Poste i servizi in perdita. La quotazione porterebbe alla riduzione dei servizi nelle zone rurali e marginali favorendone lo spopolamento o forti aumenti dei prezzi. Nel Prospetto di Quotazione lo Stato prende specifici impegni per evitare tutto ciò?
ERRORE PER LO STATO. La quotazione può far perdere allo Stato un formidabile strumento di finanziamento del suo debito e dei suoi investimenti. Oggi Poste raccoglie a vario titolo quasi 500 mld contribuendo in maniera diretta o indiretta a finanziare CDP e Tesoro. Oggi si tende un po’ a “snobbare” questa funzione perchésia lo Stato che CDP possono raccogliere denaro sui mercati con facilità e a costi complessivi forse anche inferiori, ma siamo sicuri che sarà per sempre così? Siamo sicuri che situazioni di difficoltàsui mercati finanziari non si ripeteranno? È saggio per lo Stato rischiare di privarsi di una fonte di raccolta e di finanziamento degli investimenti di questa importanza? (500 mld sono quasi un quarto del debito pubblico totale).
ERRORE PER I CONTRIBUENTI. Se sono vere le cifre di cui si parla – valutazione del 100% di Poste tra 6 e 10 mld – sarebbe un enorme regalo ai sottoscrittori delle azioni e l’operazione finirebbe per essere una netta svendita di patrimonio pubblico! Una forchetta di valutazione così ampia nasconde aspetti non chiari. Sono cifre inadeguate rispetto al potenziale di Poste che, oltre ad essere il principale gruppo “logistico” italiano e la principale rete di pagamenti, contiene la più diffusa rete retail, rappresenta uno dei grandi operatori italiani nella raccolta e gestione del risparmio oltre che una delle principali compagnie di assicurazioni. Per non parlare dell’ingentissimo patrimonio immobiliare e tecnologico accumulato.
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Conclusione di Passera: “Lo Stato perderebbe il controllo di un’infrastruttura sociale insostituibile, di uno strumento di efficientemento dell’intera PA (dalla digitalizzazione ai servizi di sportello per altre Amministrazioni centrali e locali, dalla posta certificata alle carte dei servizi al cittadino) e di una fonte strategica di finanziamento del debito pubblico e degli investimenti. Gli svantaggi che i cittadini, lo Stato e i contribuenti italiani trarrebbero dalla quotazione di Poste sarebbero ben più alti dell’introito una tantum di 2 o 4 mld. Se lo Stato vuole ricavare quei soldi ci sono modi più intelligenti: scorporare e cedere in toto o in parte alcune partecipazioni (es. la compagnia di assicurazioni) oppure valorizzare il patrimonio immobiliare. Se c’è da risolvere un problema di cassa per il MEF, Poste può assicurare una politica di dividendi più robusti senza che lo Stato debba vendere un’azione. E se proprio si vuol vendere una quota a condizioni così favorevoli perché non offrirla almeno prima a CDP?“.
Domande non proprio banali. Cosa risponde il governo? Ne parliamo?