E riforma fu: per chi non se ne fosse accorto, la riforma della pubblica amministrazione voluta dal Premier Renzi e della Ministra Madia è legge. Dal 28 agosto di quest’anno, infatti, è in vigore la legge n. 124 del 2015 che, per la sua concreta attuazione, richiederà l’emanazione di diversi decreti legislativi delegati, con cui il Governo preciserà portata ed estensione delle norme di delega. Parte fondamentale della riforma poggia, come noto, sulla revisione della disciplina in materia di dirigenza pubblica, su cui molto si è dibattuto durante gli ultimi mesi: non serve ripercorrere qui le critiche e le valutazioni sulla riforma, ma è utile ricordare che la decadenza dal ruolo unico della dirigenza, a seguito di un determinato periodo di collocamento in disponibilità, è stato finalmente legato, anche grazie alle osservazioni delle associazioni dei dirigenti pubblici, al principio della valutazione negativa del dirigente, passaggio logico e, aggiungo, di indispensabile legalità. Bene. Fatta la legge e con i decreti in lavorazione, che succede adesso?
A mio modo di vedere occorre prendere atto che, piaccia o non piaccia, siamo ad un punto di svolta decisivo, in cui si profila innanzi una fase nuova, quella della post-riforma, che impone una presa d’atto da parte della dirigenza pubblica più avveduta. Condivido le osservazioni di chi vede in questa riforma una occasione in parte mancata per dare una prospettiva nuova alla PA, avendo posto eccessiva attenzione alla regolazione di aspetti che poco hanno a che vedere col ridare dinamicità alla più grande organizzazione del Paese. Ecco perché sarà indispensabile, nel proseguire un confronto costruttivo col Governo nella costruzione dei decreti (avremo una fase consultiva anche nei prossimi mesi?), dare spazio a temi di respiro ampio e legati alla trasformazione di come si fa amministrazione. Tre temi, fra i tanti, mi sembrano fondamentali. Il primo: come costruire un sistema di valutazione vera ed efficace per la dirigenza pubblica, lasciandoci alle spalle montagne di formalistici adempimenti e le ormai insopportabili polemiche da bar, per far sì che la via al risultato sia un accompagnamento a favore dei cittadini e non una mera lotteria ad excludendum per il dirigente? Il secondo: come possono essere cambiati i modelli organizzativi che imperano nei nostri uffici e ottimizzare la gestione del tempo di dirigenti, funzionari e impiegati dando il giusto peso all’equilibrio fra lavoro e vita privata, mirando finalmente all’efficienza? E, infine, il terzo: quale forma dovrà prendere una PA moderna, sia nelle strutture nelle quali si articola a tutti i livelli che nei rapporti di lavoro in essere?
Sono questioni complesse eppure basilari se crediamo in una amministrazione pubblica che sia una delle leve per lo sviluppo del Paese. Diciamolo: il quadro dato non aiuta di certo. Abbiamo un personale assai in là con l’età, poco motivato e poco formato, e senza prossime prospettive di rinnovamento visto il perdurante blocco delle assunzioni. Lavoriamo spesso sulle emergenze e sempre più i processi di spending review guidati dall’alto rischiano di penalizzare le eccellenze senza limitare sprechi e produrre risparmio. Nonostante questo, tuttavia, servono un pensiero lungo ed una visione di cosa sia necessario fare che politici e burocrati hanno dato spesso prova di saper maneggiare assai poco e per i quali c’è bisogno di una assunzione di responsabilità da parte di tutti. I cittadini attendono.