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Ritornare a Keynes? Sì, ma neoliberismo non c’entra nulla

Lo si invoca e lo si evoca a fronte della sconvolgente crisi economica e sociale prodotta dalla finanza internazionale e dopo che per un lungo periodo la sua opera e il suo nome sono stati opportunamente ibernati. E per quel poco che del suo pensiero è stato lasciato circolare e fluire nei giorni nostri si è trattato di contraffazione e manipolazione a uso e consumo del trionfante pensiero unico neoliberista.

Si tratta di John Maynard Keynes , l’economista inglese degli anni Trenta, la cui importanza nel XX secolo è stata pari a quella di Carlo Marx nel XIX, autore della celebre teoria macroeconomica il cui cardine era, è l’eliminazione dell’instabilità del mercato e delle diseguaglianze economiche e sociali per perseguire l’obiettivo di una buona vita e di una buona società.

A restituire a Keynes il suo pensiero basato sul rifiuto continuo di una crescita economica priva di valori umani, di sostenibilità sociale e ambientale, è l’economista dell’Università danese di Roskilde Jesper Jespersen, con un libro chiaro e scorrevole, John Maynard Keynes. Un manifesto per la buona vita e la buona società, per Castelvecchi Editore e curato sapientemente da Bruno Amoroso, l’economista amico e allievo di Federico Caffè, un keynesiano ante-litteram.

Se Keynes propose l’obiettivo della piena occupazione, fatta propria da un colto nucleo di eretici di una sinistra, già negli anni ’70, attratta dai giochi della politica e del Potere, questa, secondo l’economista inglese, non coincide affatto con la crescita economica infinita, anche se sostenuta dalla stampella dello stato di benessere, ma – spiega Amorosocon una equa ripartizione del lavoro e dei redditi in un quadro di cooperazione tra Stati e attori economici e politici.

Di questi inossidabili eretici, mai sedotti dalle sirene della Politica e del Potere, Caffè è stato uno dei più autorevoli esponenti di quelle che Amoroso chiama sacche di resistenza che già negli anni ’70 con il loro agire concreto, quotidiano, si opposero all’occultamento di Keynes, non senza la sciagurata complicità della sinistra, sia nelle università, nei media, fino ai ministeri delle Finanze, e oggi in particolare, di Berlino, Londra, Roma, Copenaghen e Bruxelles.

Keynes è stato ridottodenunciano i due economisti della Roskildeall’assunto che la causa della disoccupazione risiede nella rigidà dei salari monetari. Al contrario, sostiene Keynes, è l’assenza e imprevedibilità della domanda a causare l’instabilità del mercato, il che è in diretta opposizione alla tesi degli economisti neoclassici secondo cui l’offerta genera la sua domanda e il sistema di mercato si autoregola.

Per Keynes, aggiungono, la disoccupazione non solo è dovuta alla mancanza di posti di lavoro per cui, seguendone l’insegnamento, è possibile invertire la congiuntura negativa puntando sul  coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri dell’Ue per creare i 20 milioni di posti di lavoro che mancano, ma i veri valori della società umana non si ottengono con lunghe ore di lavoro e neanche con gli acquisti di prodotti superflui e di facile invecchiamento.

Temi questi sui quali nel 1967, un altro eretico della sinistra, l’Ingegnere acomunista Riccardo Lombardi, di cui il 18 settembre ricorre il 31esimo della cremazione senza riti religiosi, ideò il progetto di una società più ricca perchè diversamente ricca, agli antipodi del modello partorito dal pensiero neoclassico e perseguito dalla Troika.

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