Nel già lungo elenco dei temi e problemi controversi, di cui si discute nelle botteghe e retrobotteghe della politica italiana, come spesso sono o diventano i giornali, anche i più autorevoli e diffusi, per quanto la diffusione sia in sofferenza un po’ per tutti, è entrato di prepotenza anche il rapporto fra Papa Francesco, la cui popolarità non ha confini, e il sindaco di Roma Ignazio Marino. La cui popolarità non è di certo in crescita, con tutte le rogne amministrative e giudiziarie del Campidoglio, e con quelle che lui si procura viaggiando ormai come un piccione.
Probabilmente proprio nella illusione di rimediare alle difficoltà d’immagine procurategli dalle cronache giudiziarie e politiche, forte di un invito del sindaco di Filadelfia, Marino è corso con la sua sciarpa di sindaco in quella città per assistere nelle prime file alle celebrazioni organizzate per la visita del Papa. Che nel vederlo però è rimasto sorpreso, tanto da parlarne con evidentissimo e clamoroso fastidio durante il viaggio di ritorno a Roma, rispondendo alla domanda di un giornalista che Marino, viaggiando su un altro aereo, ha scambiato per un provocatore, o quasi. E meno male che non è arrivato ad assimilarlo ai soliti avversari da restituire “alle fogne”, come dice lui, per la loro presunta o reale provenienza ideologica dal fascismo.
Non solo ha precisato, dopo avere consultato ancora in terra americana i suoi subordinati, religiosi e civili, la mancanza d’inviti a Marino da parte vaticana, ma il Papa ha un po’ ridotto le credenziali di fede del sindaco di Roma, definendolo non un cattolico tout court ma uno che “si professa cattolico”. Un cattolico “adulto”, direbbe Romano Prodi evocando un contrasto avuto anche lui con le gerarchie del Vaticano negli anni in cui era presidente del Consiglio. Tanto adulto, Marino, da avere aperto a Roma, nonostante le diffide del Ministero dell’Interno, oltre che del Vicariato, il registro per trascrivere le unioni contratte all’estero da omosessuali. Ma questo il Papa non glielo ha rinfacciato, o almeno non esplicitamente, nelle distanze che ha voluto prendere da lui nell’aereo che lo riportava a casa dagli Stati Uniti.
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Fra i critici del Papa, e sostenitori di Marino, si è distinto sulla Stampa Massimo Gramellini, che ne ha lamentato il gesuitismo troppo professionale, diciamo così, con quel riferimento alla quasi presunta fede cattolica del sindaco di Roma, e l’accesso al “retrobottega” della politica. Un accesso che “non è un bel vedere” per un Papa, ha chiuso il suo commento il severissimo Gramellini.
Sul versante opposto, o quasi, si è distinto sulla Repubblica Francesco Merlo. Che ha sì rilevato la poca misericordia dimostrata dal Papa per Marino proprio alla vigilia del Giubileo della misericordia, ma precedendo uno sfogo radiofonico carpito a Monsignor Vincenzo Paglia ha anche dato al sindaco di Roma dell’”imbucato” nelle feste americane del Pontefice. Dove peraltro s’inneggiava alla famiglia, forse non proprio nel senso immaginato da Marino con la sua registrazione, a Roma, delle unioni fra omosessuali. Un imbucato, secondo Merlo, che qualche volta fa il fesso per prendere per fessi gli altri.
A parte la storia del fesso, di cui mi conviene francamente lasciargli tutta la responsabilità, fra Merlo e Gramellini personalmente preferisco Merlo.