Nei paesi emergenti il ritmo di accumulazione del capitale non si è ridotto, anzi ha temporaneamente accelerato, anche perché alcuni paesi hanno adottato misure di stimolo degli investimenti. In prospettiva, però, peserà la necessità di avere un modello di crescita ribilanciato a favore dei consumi, in particolare in Cina.
Durante la crisi, piuttosto, negli emergenti ha frenato la dinamica della produttività. Dinamica che è attesa rimanere su ritmi ben inferiori a quelli pre-crisi anche nel 2015-2020; ciò spiega l’altra parte della loro minore crescita potenziale. Si sono affievolite, infatti, alcune potenti spinte positive che avevano consentito forti guadagni di produttività prima della crisi: maggiore partecipazione alle catene globali del valore, allocazione più efficiente delle risorse nei settori più produttivi e riforme strutturali. In generale, è in atto un processo fisiologico di rallentamento delle economie più dinamiche che, dopo avere guadagnato posizioni avvicinandosi alla frontiera tecnologica, devono rivedere il proprio modello di crescita.
Nei paesi avanzati la dinamica della produttività aveva rallentato già prima della crisi. Sempre secondo l’FMI, infatti, nei dieci anni precedenti il 2007 il suo contributo alla crescita annua del PIL è diminuito di 0,4 punti percentuali. Dopo una frenata durante la grande recessione, la produttività è tornata a crescere ai ritmi pre-crisi, ma ancora lontano da quelli registrati a cavallo del 2000.
Questo rallentamento è imputabile in parte a un mutamento della struttura produttiva, che ha ridotto il peso di alcuni settori ad alta produttività, specialmente quello manifatturiero. E in parte a un minore impatto stimato del progresso tecnologico, dopo un forte traino fornito dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, prima negli Stati Uniti e poi in altri paesi avanzati7. Queste stime sono, comunque, molto incerte e i guadagni di produttività derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie possono essere ancora ampi.
Infine, nei paesi avanzati è diminuita anche la spinta offerta dall’investimento in capitale umano, misurato con il livello medio di istruzione, poiché la quota di persone con istruzione secondaria e terziaria è ormai già molto elevata. Ciò sta accadendo, più lentamente, anche nei paesi emergenti.
Come uscire dalla stagnazione secolare
Sono numerosi, dunque, i fattori che hanno condotto al rallentamento della crescita globale. Molti hanno caratteristiche persistenti o permanenti (in particolare quello demografico). Si parla, non a caso, di “stagnazione secolare”.
Le prospettive, però, non sono scritte sulla pietra. Molto dipenderà dalla risposta delle politiche economiche, in particolare nei paesi avanzati. Politiche che devono, necessariamente, operare su più fronti.
Dal lato della domanda, occorre proseguire con gli stimoli monetari non convenzionali, dati i tassi di interesse nominali già ai minimi, e attuare significativi interventi di bilancio pubblico, soprattutto con spesa in investimenti e infrastrutture. Ciò vale particolarmente in Europa.
Dal lato dell’offerta, è necessario favorire la spesa in R&S e puntare sulla qualità dell’istruzione, sul collegamento tra scuola e lavoro e sulla formazione permanente. E costruire una seria politica industriale per rafforzare il manifatturiero, settore ad alta dinamica della produttività e innovazione, con ricadute positive verso il resto dell’economia.
In generale, occorre accelerare lungo la strada delle riforme strutturali, per favorire un’efficiente riallocazione delle risorse e cogliere così le opportunità di crescita, là dove queste si presenteranno.