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Chi può ben ispirare i vertici del Partito democratico

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

«C’è la crisi della politica ma la politica siamo noi». Mino Martinazzoli, purtroppo scomparso ormai quattro anni fa, pronunciò questa frase nel 1989 al congresso della Democrazia Cristiana. Sono passati ventisei anni ma sono parole attualissime. Quella battuta, così essenziale eppure così vera, contiene un messaggio che richiama gli aspetti più alti e nobili della politica. La responsabilità che le classi dirigenti devono sapersi assumere nella guida del Paese, la necessità di saper ascoltare e tradurre in atti concreti i bisogni degli italiani. Insomma, la politica con la “P” maiuscola, intesa cioè come lo strumento per affrontare i problemi della società civile. Una concezione profonda che affonda le proprie radici nella tradizione storica del cattolicesimo democratico.

Nel corso della sua vita, operando come protagonista delle istituzioni, Martinazzoli è stato, pezzo importante di quella classe dirigente italiana che intendeva la politica come impegno al servizio del Paese. Uno spirito che deve rinnovare l’azione degli esponenti del partito democratico e che è stata testimoniata mirabilmente da personalità quali Leopoldo Elia, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella. Ora, dopo anni caratterizzati da una tremenda crisi, anche grazie all’impegno riformatore del premier Renzi si possono toccare con mano i primi segnali di ripresa. Bisogna proseguire lungo questa strada con la stessa passione civile e lo stesso impegno politico, mutuando la stessa lungimiranza nell’adottare il criterio della meritocrazia nella costruzione della classe dirigente. Qualità che Martinazzoli mostrava, lo ricordiamo, spesso avvolto nella sua particolare dialettica ricca di aforismi, segno della sua grande passione culturale e di una sagacia non comune, ma anche della serietà di chi conosceva l’attesa della gente comune nei confronti delle istituzioni e dei partiti.

Ha attraversato snodi fondamentali e drammatici della storia italiana: è stato un apprezzato ministro della Giustizia e della Difesa (sua la storica decisione di equiparare in termini di durata il servizio militare a quello civile), un eccellente capogruppo del più grande partito allora rappresentato in parlamento, la Democrazia Cristiana, si è infine trovato in prima linea quando con Tangentopoli il sistema dei partiti è crollato fragorosamente e ha coronato la sua carriera quale sindaco della sua città, Brescia.

Al suo esempio guardiamo anche oggi per la capacità di mettere al primo posto l’unità e il dialogo, ma mai a tutti i costi e la sua proverbiale onestà, praticata non tanto nelle parole quanto nei fatti.

Simone ValianteDeputato Pd

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