“Mi fa piacere essere ancora una volta a Salonicco a parlare durante la vostra ospitale Fiera Internazionale. Una Fiera Internazionale che rappresenta una delle più importanti istituzioni di sostegno e promozione delle capacità produttive del nostro Paese. Questo contributo della Fiera Internazionale di Salonicco è cruciale, specialmente oggi che il centro del dibattito pubblico riguarda la questione dell’orientamento produttivo del Paese”.
A due settimane esatte dalle elezioni che si tengono domani, Alexìs Tsipras è tornato a Salonicco, un anno dopo dopo la presentazione del suo primo programma politico, un anno che per la Grecia è stato denso di eventi come un decennio. E forse non è un caso: perché se a a piazza Syntagma vive la politica, sulla via Egnatia brulica l’economia della Grecia. O almeno ciò che ne resta.
A Salonicco, l’aria è frizzante e la temperatura è già mite. Siamo nel Nord-Est della Grecia, nella parte più profonda del Golfo Termaico e alle porte della Penisola Calcidica. Siamo nella patria di Alessandro Magno, nella sede di un meraviglioso museo bizantino, nella provincia dei monasteri ortodossi inibiti alle donne: l’antica Tessalonica crocevia di culture e popoli, porta d’Oriente della Grecia che oggi appare maestosa e ferita insieme. Le strade sono affollate e il meltemi soffia senza sosta sul lungomare, dove si passeggia con un po’ di vertigini: la strada di asfalto è affacciata sull’Egeo blu e furente, senza parapetti e senza soluzione di continuità. Thessaloniki è la seconda città della Grecia, neppure 400mila abitanti, ed è il secondo porto del Paese. Ma è anche sede dell’Università Aristotele, la più grande dell’Ellade. Oggi, i segni della crisi sono evidenti: in centro, in mezzo ai locali della movida giovanile, lungo la strada romana che la taglia in due, la via Egnatia, intorno alla centrale piazza Aristotele, ogni tanto si incontra un palazzo abbandonato, fatiscente, l’intonaco scrostato, le finestre rotte o serrate. Squarci che si aprono nel profilo della città moderna ricostruita dopo un disastroso incendio nel 1917.
Il cinema storico Olympion, proprio in piazza Aristotele, occupato a febbraio del 2012 dal movimento anarchico.
I grandi magazzini Fokas, simbolo dello shopping cittadino – una sorta di Rinascente ellenica – che hanno chiuso i battenti nel 2013 per bancarotta.
E poi la Yfanet, un’ex fabbrica di tessuti lasciata andare al macero e occupata anch’essa dagli anarchici che ne hanno fatto la propria base operativa.
La libreria Ragias, un’altra istituzione in città, sta per chiudere i battenti: migliaia di volumi saranno mandati al macero e non ce niente che si possa fare per salvarli.
E nomi e storie come queste sono decine, centinaia, migliaia. Storie il cui effetto è stato tremendo anche sul mercato immobiliare. I mutui non solvibili in Grecia sono arrivati a valere 100 miliardi di euro e i prezzi delle case negli ultimi tre anni sono dimezzati. Salonicco non fa eccezione: un appartamento di 70 mq in una zona semi-centrale che tre anni fa costava 110mila euro oggi è in vendita a 60mila e i proprietari spesso sono disposti ad abbassare di più il prezzo per evitare le tasse. Tasse sulla proprietà immobiliare, anche sulla prima casa, che negli ultimi tre anni sono triplicate, così come sono triplicate le tasse sui terreni agricoli anche non utilizzati. Tasse pagate in nome di un’Europa in cui nessun greco ormai si riconosce e che pesano come un macigno nelle tasche già depauperate della popolazione.
Sulla via Egnatia, dopo il 2009, la geografia del commercio è completamente cambiata: non esiste quasi più alcun negozio greco, solo le grandi catene internazionali hanno retto a cinque anni di crisi profonda. “La crisi, cos’è la crisi? In fondo è solo una parola, una serie di numeri che volano sopra le nostre teste e dalla crisi c’è anche chi si è arricchito”, spiega Niklas, piccolo imprenditore cinquantenne che produce abbigliamento maschile e che con la crisi ha dovuto ripensare il suo business. “Il mio fatturato non è diminuito, ma per resistere ho dovuto allargarmi all’estero, alla Cina. Il problema a un certo punto è stato che non riuscivo più a rifornirmi in Grecia perché le fabbriche chiudevano, tessuti, bottoni, la mia fonte di approvvigionamento è cambiata radicalmente. Io ce l’ho fatta”. Ma per molti altri non è andata così.
Secondo la Camera di commercio e artigianato di Salonicco tra il 2003 e il 2014 hanno chiuso 96mila aziende nell’area, circa 700 al mese: 46mila dal 2003 al 2008 e 49mila negli anni dal 2009 fino al 2014; oltre il 60% piccole o medie. Nello stesso periodo sono state create 81mila imprese, il 60% negli anni pre crisi e il 40% durante dopo lo scoppio del bubbone. Il risultato è che il saldo tra il 2003 e il 2008 è stato positivo per 4700 imprese mentre dal 2008 al 2014 il bilancio è di 15300 aziende in meno.
Oggi la tassazione sulle imprese in Grecia è più bassa che nella media europea, al 20% contro il 25%. “Ma dovrebbe essere portata al 28% già il prossimo anno – spiega Niklas – il problema è che andrebbe pagata in anticipo sul guadagno presunto, il che creerà problemi seri”. E se si tornasse alla dracma? “E chi lo sa – continua l’imprenditore – i politici usano la questione della valuta per fare propaganda, ma nessuno sa cosa accadrebbe veramente, nessuno dice la verità. Però i greci non si arrendono. Ne troverete sempre capannelli che si godono il loro frappé, seduti per ore a un tavolino del bar”.
Un frappè che però è “sempre più a buon mercato, prima il divertimento era più costoso, oggi aprono tanti locali che offrono da bere e da mangiare a prezzi veramente bassi”, racconta Maria, 38 anni, che da undici anni vive a Roma e ha un figlio di quattro anni, un bimbo che “avrà la possibilità di essere disoccupato in due Paesi”, scherza amara la mamma. Lei se n’è andata e fa l’insegnante precaria in una scuola privata italiana, sua sorella Magda invece è rimasta a Salonicco e lavora in una storica fabbrica di cappelli, sull’orlo del fallimento nel periodo più feroce della crisi e poi rinata grazie all’apertura verso l’estero. “Noi siamo stati fortunati, il mo stipendio è stato decurtato solo del 15%, il minimo”. Un sacrificio, quello di vedere il proprio reddito tagliato, finora sopportato con stoicismo. Anche da Khloe che lavora come dipendente pubblica e che prima dei tagli guadagnava 1400 euro, ora 750. Suo marito Kristos fa il commercialista e anche per lui il lavoro è calato tanto da quando le imprese hanno iniziato a chiudere i battenti. “Il mio reddito è quasi dimezzato. Ma non mi lamento, ce la facciamo ancora”. Per ora le rinunce riguardano le vacanze, “la cosa veramente triste è che i nostri figli vicini ai trent’anni sono stati costretti a emigrare per lavorare: uno in Germania, uno in Gran Bretagna. Solo il terzo è rimasto in Grecia e fa lo chef a Kos: d’inverno torna a Salonicco e qua vuole restare, nella sua terra, a casa sua”.
Se nella città i segni della crisi sono tangibili, nella provincia, lungo la penisola Calcidica, tre sottili dita di terra con coste mozzafiato, in verità è cambiato poco. La regione vive di turismo, un turismo molto diverso da quello che si può sperimentare sulle isole amate da italiani, tedeschi e britannici. Tutti gli esercizi commerciali rilasciano lo scontrino fiscale e in molti negozi c’è scritto in inglese: “Se non ti dò la ricevuta, tu non pagarmi”. Nelle taverne c’è l’abitudine di offrire frutta e dessert a tutti i clienti e l’acqua è gratis con il caffè. Usanze diffuse solo al Nord, dove la convivialità è d’obbligo e si diventa amici ancora prima del primo bicchiere di ouzo. Qui sembra che il degrado e la miseria che ha creato le sue sacche nei centri urbani non esista affatto. Qualche segnale forse sta nelle forme di aggregazione che sono sorte nei centri maggiori: a Nikiti, sulla costa occidentale di Sithonia, il secondo dito della Penisola, esiste un’associazione dei proprietari di alloggi da destinare al turismo. “Mio padre faceva il direttore delle poste, gli hanno dimezzato la pensione nel 2012, da 2500 a 1250 – dice Stelios – io e mio fratello siamo medici in una struttura pubblica, ma abbiamo ciascuno due figli, arrotondiamo affittando camere ai turisti. Sono entrate su cui puntiamo decisamente, è importante che le stanze siano sempre occupate”.
Qui, nei paesini che punteggiano la costa e le colline circostanti, le prossime elezioni in fondo appaiono come un inutile esercizio di maniera.
“Le elezioni? Che importa. Tanto non cambia mai nulla. Il giovane al governo (Tsipras, ndr), lui voleva cambiare le cose, ma gliel’hanno impedito. Vecchia storia: è sempre qualcun altro che decide”. Giorgios ha 34 anni, parla un inglese fluente e si è laureato all’Università Aristotele prima di decidere di tornare a gestire la taverna di famiglia insieme a suo fratello. La sala del suo ristorante ospita 300 posti gestiti in maniera impeccabile: tempi di attesa ridotti al minimo e piatti perfetti. Insomma, un’organizzazione quasi tedesca. “No, no, macché tedesca, è un’organizzazione greca!”, Giorgios si schermisce e non aggiunge altro, ma si capisce bene cosa pensi della Germania e dell’Europa oggi. Lo dirà con maggiore schiettezza un suo avventore, Takis, che da giovane ha solcato il Mediterraneo per trasportare merci tra Salonicco e il resto del mondo, “guadagnando 6500 euro al mese. Poi il lavoro è finito e oggi è tutto diverso, sono tornato al paese, faccio security, il mio stipendio è di mille euro al mese. Ma qui la vita costa poco e ce la faccio a mantenere i miei due figli, un ragazzo di 23 e una bimba di 13. Per loro sono preoccupato: la Merkel, dove c’è lei gli altri popoli vanno giù, giù, giù”.
Cosa accadrà domani, difficile dirlo. Tsipras, la grande promessa – finora mancata – a cui i greci avevano creduto profondamente a Salonicco ha descritto quella data come uno spartiacque. “Il 20 settembre – ha detto a Salonicco – si decide se torneremo indietro al periodo oscuro della corruzione, del clientelismo, delle reti di potere e degli intrecci che hanno dominato il Paese negli ultimi decenni e che sono cresciuti in modo esponenziale durante il periodo del governo di Samaras o se continueremo la lotta, che abbiamo cominciato pochi mesi fa, per l’uscita dalla crisi e dalle politiche di austerità. Si decide l’orientamento di crescita e la continuità con il tentativo per la ricostruzione economica, amministrativa, sociale del nostro paese oltre e fuori il declino del fallito vecchio sistema politico. Questo è il grande dilemma di queste elezioni e sono sicuro che i cittadini, il popolo greco, le vive e creative forze di questa annientata ma orgogliosa società sanno già che devono scegliere”. Resta da capire se davvero la rinascita per i greci debba passare attraverso Tsipras oppure no.