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Bail in, vi svelo il papocchio orchestrato in Europa. Il commento di Paolo Savona

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Paolo Savona apparso su Milano Finanza.

In queste ultime settimane si è molto parlato della direttiva europea che il Parlamento ha recepito il 10 settembre nella quale viene indicata la soluzione da dare alle crisi bancarie. Attendevo che qualche collega prendesse la parola sul solito pasticcio-bugia (come di consueto celato da un termine inglese bail-in) confezionato dall’UE e ratificato dall’Italia perché ho avuto un ruolo “di inascoltato critico” e speravo che altri si dessero carico di farlo. Dopo aver letto le dichiarazioni rese dal Presidente dell’ABI, Antonio Patuelli, e atteso inutilmente una qualche reazione, sento il dovere civico di esporre le mie conoscenze.

La frase che maggiormente mi ha colpito dell’intervista è: “se dissesto bancario ci fosse, lo Stato sarebbe quasi obbligato a porvi rimedio” e invoca a sostegno la norma costituzionale che prevede la protezione del risparmio. A causa del mio attaccamento, inconsueto per il Paese, alla “regola della legge” (che funziona anche nella versione inglese the rule of law senza mascherare il significato), ho apprezzato che la giornalista, Alessandra Puato, considera questa posizione “un’interpretazione che smonta l’impalcatura delle nuove regole UE, che possono avere spaventato i risparmiatori”. Quindi, la legge esiste, ma nei suoi aspetti negativi, quello della perdita dei depositi, non deve preoccupare i risparmiatori perché lo Stato è “quasi obbligato” a intervenire. Subito dopo lo stesso Patuelli avverte che “se ci fosse un fallimento conclamato, soltanto in questo caso, potrebbe essere utilizzato il bail-in”, ossia il rischio esiste, ma non esiste, dato che “le crisi bancarie … non hanno mai portato a fallimenti … le banche sono state commissariate in tempo utile”. Insomma, c’è di che preoccuparsi o no? La conclusione sarebbe: per alcuni sì, per altri no. Non sarebbe quindi la legge a governare il problema, ma saranno le scelte di chi sarà al Governo e alla direzione della Banca d’Italia se una banca fallisce e, se è grande, si aggiungerebbe l’incertezza dell’intervento dell’organo di vigilanza europea. E’ un classico assetto illiberale dove il cittadino è governato da uomini, non da leggi, una condizione che credevamo fosse stata sconfitta dalla storia. La direttiva sulla sistemazione delle crisi bancarie ha le caratteristiche tipiche dei Trattati e regolamenti europei che tutto prevedono, escluso però i casi che veramente interessano di fronte a crisi serie. Quando accadono si inizia a discutere, con danni dovuti ai ritardi decisionali e ai pasticci dei compromessi intergovernativi.

Contro l’assetto deciso mi sono battuto finché mi hanno consentito di farlo quelli che preferiscono il governo di uomini a quello delle leggi. L’attuale schema di protezione dei depositi non può garantire ciò che promette per una serie di ragioni tutte documentate negli archivi del FITD, che così sintetizzerei:

– la definizione di cosa sia il deposito garantito è imprecisa ed esposta a raggiri e fraudolenze, senza che la direttiva europea affronti il problema definitorio che la Banca d’Italia non ha mai voluto affrontare;

– la garanzia offerta non corrisponde alle reali possibilità di intervento delle banche sulle quali ricade l’onere e il fondo che verrà creato è insufficiente rispetto ai rischi; inoltre, se usato, la sua ricostituzione diviene un pozzo senza fine. Esiste una tabella statistica che indica quale sia il limite di tollerabilità per il sistema bancario e le singole banche al fine di evitare che un intervento a favore di una o più tra esse in difficoltà si tramuti in una crisi sistemica;

– la soluzione delle crisi bancarie in Italia esclude, contrariamente alle legislazioni nella gran parte dei paesi civili, la partecipazione diretta del Fondo tutela depositi sia nella decisione di commissariamento, sia nella gestione della soluzione, nonostante  la sua natura di istituzione su cui ricade l’onere; in breve, viene considerata niente più che un cassetto con soldi che altri hanno il potere di aprire, attingendo le risorse;

– la Banca d’Italia, responsabile della vigilanza sulle aziende di credito, guida il processo di intervento, incappando in un grave conflitto di interessi: governa la soluzione da dare ai suoi sempre possibili errori di vigilanza, ponendoli a carico del sistema bancario; esso avrebbe il dovere di reagire a livello di associazione rappresentativa di interessi, ma non lo fa, celandosi dietro il quasi obbligo dello Stato a intervenire;

– affinché il rapporto tra le autorità e i depositanti sia equo, Banca d’Italia e FITD dovrebbero fornire informazioni sulle loro conoscenze delle condizioni delle singole banche a richiesta dei risparmiatori. Se non lo fanno – e capisco le implicazioni – i depositanti devono essere considerati sprovveduti e, pertanto, garantiti, ma non dalle stesse banche, dalle autorità nel loro complesso ripartendosi gli oneri in proporzione alle loro responsabilità;

– lo Stato che, per omissione o per le sue scelte di politica economica, è all’origine delle crisi sistemiche, deve essere coinvolto nella soluzione delle crisi bancarie secondo regole esplicite (come fu in passato con il noto decreto Ventriglia), se possibile chiare nell’attuazione;
la tesi che se garantisci i depositi le banche e i loro clienti praticherebbero il moral hazard (l’azzardo morale, funziona anche in italiano) che il provvedimento intende combattere è l’idea che ha generato, con il fallimento della banca Lehman americana, la seconda grande crisi in meno di un secolo.

Poiché la direttiva UE recepita dall’Italia ha come scopo di tenere fuori gli Stati-membri dalle implicazioni finanziarie causate dalle crisi bancarie, essi si disfano in teoria delle loro responsabilità, ma viene introdotto nel sistema un altro principio illiberale, quello di uno Stato che, con le banche centrali, porta i suoi errori a carico del cittadino. La problematica sollevata è ancora più complessa, ma la parte evidenziata è più che sufficiente non solo per sollevare un problema di rispetto di una Costituzione pluriviolata – e non solo in questa materia – ma anche e soprattutto un problema di razionalità di un provvedimento che dovrebbe essere il faro che orienta le scelte dei risparmiatori che scelgono la forma monetaria.



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