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Banco Popolare e Ubi, nozze in vista?

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Luca Gualtieri apparso su MF/Milano Finanza, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Se la fusione tra i due big andrà in porto, la partita più delicata si giocherà a Bergamo. Sono settimane cruciali per Ubi Banca e il Banco Popolare, gli istituti candidati al principale matrimonio tra uguali del risiko prossimo venturo.

CHI SPINGE

L’idea piace al mercato e al Tesoro, anche perché il nuovo gruppo, che diventerebbe a tutti gli effetti il terzo polo bancario italiano, potrebbe aggregare gli istituti in difficoltà e garantire così la stabilità del sistema. Se piace a molti, l’asse Banco-Ubi non è però ancora cosa fatta.

I NODI

Oltre alla governance e alla struttura societaria, resta da sciogliere il nodo delle sovrapposizioni commerciali. Se la fusione andrà in porto, le problematiche Antitrust sarebbero complessivamente gestibili, ma c’è una provincia in cui i due sposi potrebbero pestarsi i piedi: quella di Bergamo.

I NUMERI DI UBI

Qui infatti Ubi è presente con 165 filiali attraverso varie controllate, tra cui la parte del leone spetta alla Popolare di Bergamo, mentre il Banco Popolare presidia l’area con il centinaio di filiali dell’ex Credito Bergamasco. Il Creberg, storico fiore all’occhiello del gruppo veronese guidato da Pier Francesco Saviotti e presieduto da Carlo Fratta Pasini, è riuscito a produrre utili e impieghi anche negli anni della crisi, attirando l’attenzione di gruppi italiani ed esteri prima di essere fuso nella capogruppo. Risultati resi possibili dall’autonomia decisionale e dal rifiuto di logiche di specializzazione che hanno permesso all’istituto di concentrarsi soprattutto sull’attività commerciale, lasciando perdere la finanza e le fabbriche prodotto.

RISCHIO SOVRAPPOSIZIONI

Oggi questa rete commerciale rischia di sovrapporsi a quella di Ubi e di andare incontro a una razionalizzazione. A meno che i vertici del nuovo gruppo non decidano di scorporarla e dismetterla, approfittando degli appettiti che sul mercato non sono mai scemati. Gli addetti ai lavori sanno ad esempio che nel 2010 il Creberg (allora guidato da Giorgio Papa) era finito nel mirino di Bnp Paribas e d’altra parte le voci di un possibile interesse da parte di gruppi francesi attivi in Italia non hanno mai smesso di circolare. Fonti vicine al dossier definiscono «probabile» una dimissione, benché per il momento il tema non sia stato affrontato da amministratori e advisor. Anche perché il problema delle sovrapposizioni potrebbe essere risolto in maniera salomonica, dismettendo in ugual misura sportelli del Creberg e della Popolare di Bergamo ed evitando così di penalizzare una delle parti. Di certo, se i due gruppi vorranno procedere a una fusione, il nodo andrà sciolto nei prossimi mesi.

QUESTIONE GOVERNANCE

Il cantiere Ubi-Banco è insomma ancora aperto e i fronti aperti sono numerosi, a partire dall’assetto di governance. Le difficoltà potrebbero essere appianate con la costituzione di una holding quotata che coordini e controlli le banche territoriali, secondo un modello federale simile a quello adottato dal Crédit Agricole. Una struttura di questo genere permetterebbe anche di dare piena rappresentanza alle diverse anime del nuovo gruppo e di ripensare il ruolo delle attuali prime linee.

I NOMI IN BALLO

La posizione più delicata sarà però quella dell’amministratore delegato, anche se il ceo di Ubi Victor Massiah appare oggi il candidato ideale per quella poltrona. Mentre insomma procede il dialogo con Ubi, Verona non ha mai messo da parte definitivamente il dossier Popolare di Milano. Anche se negli ultimi mesi il feeling tra i due gruppi si è raffreddato, una rottura delle trattative con Brescia potrebbe spianare la strada a quello che Saviotti definì un sogno impossibile, ovvero un matrimonio con Piazza Meda. Sulla compatibilità delle due realtà molto si è detto e scritto, ma la novità di questi ultimi tempi è un’altra: la performance del titolo Bpm è stata una delle migliori di Piazza Affari, con un rialzo del 60% in 12 mesi e una capitalizzazione che sfiora i 4 miliardi.


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