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Big Data, il futuro presente nei dati

Big data. Se ne è parlato nel convegno Beach Data tenutosi a Cagliari lo scorso 30 settembre, organizzato nell’ambito del decennale del Thotel di Cagliari da Davide Collu, Alessandro Chessa professore all’Imt Lucca, Linkalab ,  Alessandra Spada e Francesco Berardi, rispettivamente CTO e presidente di Alkemy, e il team di Alkemy_Lab. Al seminario hanno partecipato nomi noti del giornalismo come Gianni Riotta, che insegna Digital Humanities alla Princeton University e alla Luiss di Roma, svolgendo ricerche sui big data per Imt Lucca e che ormai da anni segue il mondo delle innovazioni tecnologiche e delle loro applicazioni, e Daniele Bellasio, giornalista, caporedattore e blogger de “il Sole 24 Ore”, studioso dei big data applicati alla politica; oltre a specialisti del settore come Rodolfo Baggio, fisico e PhD in Tourism Management, che insieme a  Mirko Lalli, founder e CEO di Travel Appeal, studia le applicazioni dei big data al turismo, e Paolo Raineri, un giovane biologo a capo di  MYagonism che ha sviluppato l’algoritmo di fuzzy logic, che sta rivoluzionando il modo di analizzare lo sport attraverso i dati.

Il seminario cagliaritano ha rappresentato uno dei rari momenti divulgativi in Italia su un tema – quello dei big data – ancora oggi relegato al mondo accademico e specialistico  e che invece ormai è parte integrante della nostra quotidianità.

L’utilizzo dei big data ha infatti invaso gli ambiti più diversi della nostra società, condizionandola  in modo significativo, per quanto in assenza di una consapevolezza diffusa del fenomeno. I big data, ha sottolineato Riotta,  segnano oggi una rivoluzione paragonabile a quella rappresentata nella prima metà dell’800 dall’avvento della ferrovia; in altre parole, sono un elemento strutturale della nuova rivoluzione tecnologica. Nel nostro agire quotidiano lasciamo ovunque tracce di dati: quando navighiamo su Internet, o transitiamo al telepass, o ancora strisciamo la carta di credito in occasione di un acquisto, usiamo i social network, finiamo nel mirino dei sistemi di geolocalizzazione dei nostri smartphone, e così via:  tutte queste attività accumulano masse di  dati che, grazie alla tecnologia e alla capacità di calcolo, possono  essere schedati e analizzati in maniera relativamente veloce. Il problema – come ben spiega Riotta – è che uso farne. Qui entra

in gioco la fantasia e l’ingegno creativo: ad esempio la  città di Boston ha adottato una banale app da scaricare sullo smartphone per individua buche nelle  strade e pianificare gli interventi di manutenzione.

Il fenomeno cresce con l’aumento dell’uso della connessione da parte di una quota crescente di cittadini. In proposito Bellasio ha ricordato che oggi in Italia ormai il  71% della popolazione è connesso a internet, di cui il 50% è iscritto a Facebook e il 77% è under 30 (il 10% della popolazione usa Twitter ). In genere si utilizzano  i social media per informarsi, comunicare, esprimere opinioni, ma anche per scaricare immagini (43%),  mentre il 26% interagisce anche attraverso dei post ed esprimendo opinioni. Oggi – a parere di  Bellasio – non si può non  “stare” sui social network se non si vuole essere tagliati fuori dall’informazione; citando  Dick Costolo (Ceo di Twitter) afferma: “oggi uno deve essere sui social non solo per interagire ma perché bisogna capire e, per capire, la prima cosa da fare è esserci”.

I social  e la rete hanno trovato nell’analisi dei big data un utilizzo organizzativo in politica: un caso particolarmente significativo è rappresentato dalle ultime elezioni presidenziali americane.  Lo staff del presidente Obama, durante la campagna elettorale guidata da Jim Messina,  effettuava 66.000 simulazioni ogni giorno attraverso l’utilizzo previsionale delle informazioni, incrociando i dati delle elezioni precedenti e quelli che venivano raccolti  dai social network attraverso l’analisi delle parole chiave, con l’obiettivo dichiarato di “misurare tutto” per non lasciare nulla al caso, neanche la singola lettera inviata dal singolo elettore.

La stessa cosa si può dire per lo sviluppo del big data nel settore turistico. Al riguardo Baggio e Lalli hanno mostrato come l’uso dei dati stia diventando determinante per le aziende che operano in questo settore, con applicazioni che trovano limite solo nella fantasia. Ma anche nello sport, disciplina che  nell’immaginario collettivo è la più distante dalle tecnologie, con  all’avvento dell’analisi dei dati biometrici e statistici delle prestazioni degli atleti – come ha illustrato  Mirko Lalli fondatore di MYagonism  – riduce lo spazio di decisione dei coach nella preparazione e nella composizione delle squadre, dal  calcio, al baseball, ecc.  Ma in qualsiasi sport,  l’uso dell’analisi predittiva dei mega dati è ormai prassi comune.

Le prime applicazione  di big data  risalgono agli anni Duemila in  astronomia e nella genetica, prime discipline a sperimentare l’esplosione di dati  e a coniare l’espressione “big data”, un concetto che oggi si sta estendendo sempre più a tutti gli ambiti dell’attività umana, come ha sottolineato ancora Riotta.

Non esiste una definizione rigorosa di “big data”, mentre c’è un acceso, quanto improduttivo dibattito sull’origine dell’espressione e su come definirla esattamente.  Una ricerca pubblicata ormai nel lontano 2001 da Doug Laney di Gartner metteva in luce le “tre V” che caratterizzano i big data ovvero: volume, velocità e varietà, una caratterizzazione quest’ultima utile ma ancora imperfetta.  Si può dire che l’espressione “big data” designa tutte quelle cose che si possono fare solo su larga scala, con grandi mole di dati, per estrapolare nuove indicazioni o creare nuove forme di valore, con modalità che vengono a modificare i mercati, le organizzazioni, le relazioni tra i cittadini e i governi, e altro ancora.

Oggi siamo solo all’inizio. L’era dei big data sta mettendo in discussione il nostro modo di vivere e interagire con il mondo. Come per il telescopio che ci ha consentito di esplorare l’universo, o il microscopio che ci ha permesso di scoprire batteri, si tratta di raccogliere informazioni su tutto ciò che esiste – incluse le informazioni che non abbiamo considerato tali, attraverso sensori e dispositivi elettronici, come l’ubicazione di una persona (geolocalizzazione), le vibrazioni di un motore o di un ponte, ecc. e convertirle in una struttura di dati che le quantifichi.  Queste  nuove tecniche di raccolta dei dati ci aiuteranno a leggere le informazioni con modalità innovative e a fare quella che si chiama l’analisi predittiva, scoprendo, per esempio, che un motore tende a collassare in base al calore o alle vibrazioni che produce: queste informazioni consentono di intervenire prima che succeda. Oggi stiamo cominciando ad  apprezzare i big data come fonte di innovazione e di valore anche nell’industria; alla fine si trasformeranno in infrastrutture fisiche , fabbriche, terreni, impianti industriali, veri e propri assets aziendali di primaria importanza.

Per queste ragioni i big data lanciano una sfida anche al sindacato, sia in termini organizzativi che in rapporto all’industria del futuro: quella che oggi  viene chiamata la quarta rivoluzione industriale, Industry 4.0, un concetto orizzontale di fabbriche, laboratori e PMI connesse, in un’ottica di filiera digitalizzata del processo produttivo, per rispondere in “real time” alle richieste e alle tendenze dei clienti.

Tutto ciò sta introducendo livelli di automazione  robotica, sensoristica, banda ultra larga, cloud e analisi dati molto spinta nella “nuova” industria.  Richiederà  ovviamente grandi investimenti: la società Roland Berger,  che ha avuto un ruolo centrale nella task force su rilancio della politica industriale messa in campo dal Governo,  stima un investimento intorno agli 8 miliardi l’anno fino al 2030; ma servirà anche e soprattutto una  manodopera fortemente specializzata dove diventeranno fondamentali la formazione e la qualificazione delle persone.

La Fim Cisl su questa sfida prova a non farsi cogliere impreparata: è stato il primo sindacato in Italia a parlarne, lo ha fatto a EXPO’  con il seminario “#Sindacatofuturo in Industri4.0”; ma il terreno su cui le organizzazioni sindacali devono misurarsi è molto più complesso e abbraccia anche il piano organizzativo.

Il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli  parla di sindacato 2.0, un concetto che racchiude in sintesi lo sforzo organizzativo che il sindacato moderno deve fare  per  mettere insieme i valori migliori  e l’ utilizzo delle nuove tecnologie, accompagnato dal rilancio della formazione quadri a tutti i livelli.  Uno sforzo non facile, che richiede un cambio culturale e di metodo. Ma il futuro non  aspetta.


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