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Brugnaro, Franceschini e Klimt

Se era solo uno scherzo, come in cuor suo spera il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, il sindaco di Venezia ha colpito nel segno: mezza Italia è lì che discute o se la ride. Ma il problema è che la battuta del primo cittadino Luigi Brugnaro arriva in un momento e in un contesto tutt’altro che divertenti.

E allora la sua idea di vendere un celebre e bellissimo quadro, la Giuditta II di Klimt, per risanare i conti della città più suggestiva al mondo, rischia di diventare un paradosso molto serio, anziché una bizzarria da bar sport: offrire per sempre i capolavori d’arte al miglior acquirente per far funzionare ogni giorno i servizi rivolti ai cittadini. Buttare in Laguna Klimt per salvare il bilancio che fa acqua di Venezia. Ma è giusto ipotizzare il principio che si possa fare a meno di un dipinto magari per tenere aperto, col denaro ricavato, il museo che l’espone? Può un’amministrazione pubblica, ma pur sempre e soltanto comunale, disfarsi di un patrimonio che “appartiene” a tutti gli italiani, e in buona parte anche all’universo, trattandosi di opere dal valore senza confini? Non sarà per caso una risposta un po’ troppo spicciola all’altrettanto celebre e miope “con la cultura non si mangia”, pronunciato in altri tempi di vacche sempre magre da un ex ministro dell’Economia? Risposta che forse oggi vuole dimostrare l’opposto: che con gli “schei” della cultura messa all’asta, un tanto al quadro, si può far vivere la propria città.

Siamo seri: della provocazione del sindaco di Venezia si prenda il lato incoraggiante, ossia spingere lo Stato e i privati a organizzarsi insieme e con lungimiranza per fare del “museo Italia”, come il mondo percepisce la nostra Penisola, un’industria di bellezza e di turismo in grado di dare quattrini alle amministrazioni e benefici ai cittadini. Perciò la soluzione non può essere il Klimt a chi tira fuori i soldi. Al contrario, semmai è quella di togliere dagli scantinati i capolavori ovunque colpevolmente chiusi a chiave, di spolverarli ed esporli al pubblico, di trarre da queste e altre iniziative il denaro a vantaggio dei Comuni che si sono dimostrati all’altezza della svolta.

La ricchezza di un tesoro non è mai data dalla sua vendita. Un tesoro vale quando gli occhi del mondo pagano per guardarlo, fotografarlo, raccontarlo agli altri, creando un amore a catena che tiene ancora oggi in vita – vita vera – i Canaletto, i Tiziano, i Tintoretto, i Tiepolo oltre al più contemporaneo Klimt chiamato in causa a sua insaputa. Se ben gestite, l’arte e la cultura non sono mai un costo: sono un investimento.

Questo commento è stato pubblicato su Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi ed è tratto da www.federicoguiglia.com

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