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Ecco come la Germania ha scoperto lo sboom di Deutsche Bank

Di Andrea Affaticati

“La Deutsche Bank costretta a guardare in faccia alla realtà”; “I controllori infliggono alla Deutsche Bank perdite più ingenti”; “L’armata Anshu teme Cryan”. Così titolavano qualche giorno fa i maggiori quotidiani tedeschi, la Frankfurter Allgemeine, la Süddeutsche Zeitung, la Welt. La FAZ riassumeva: “Per la prima volta in 60 anni potrebbero non esserci dividendi”, mentre la SDZ spiegava: “L’ammontare delle perdite leva ai più il fiato – ma di fatto sono la fotografia di una nuova realtà” e la Welt sottotitolava: “John Cryan, il nuovo boss della Deutsche Bank, fa piazza pulita di perdite di valore pregresse”. Si tratta di ben 6,2 miliardi di euro di perdite nel terzo trimestre dell’anno. Un record nei 145 anni di storia di quello che oggi è il più grande istituto di credito privato tedesco. Una somma da capogiro, un terzo di quanto la Volkswagen rischia di pagare agli USA per aver manipolato i valori di emissione di alcuni suoi modelli diesel.

A voler interpretare le reazioni dei mass media tedeschi, l’impressione è quella che nessuno si aspettava un buco simile. Eppure andando indietro solo di un paio di anni, le avvisaglie di questa possibile débâcle c’erano già tutte. Allora, era il 31 gennaio 2013 il quotidiano economico Handelsblatt scriveva: “La Deutsche Bank comunica perdite scioccanti”. Se nel 2011 gli utili post tassazione ammontavano a 4,3 miliardi di euro, nell’ultimo trimestre del 2012 ci si confrontava con perdite per 2,2 miliardi di euro, e dunque un utile finale ridotto a meri 700 milioni. Ad aver pesantemente gravato sul bilancio erano stati problemi nella ristrutturazione e l’integrazione della Postbank, uno degli ultimi acquisti di Josef Ackermann, prima di lasciare il posto alla guida della banca a Anshu Jain e Jürgen Fitschen. E ancora spese legali per gli affari poco limpidi che la Deutsche Bank aveva fatto con i subprime negli Stati Uniti, e lo scandalo Libor, nel quale erano coinvolti anche uomini dell’istituto. Inoltre si era proceduto a una rivalutazione al ribasso del settore investment banking e della gestione dei patrimoni. Nonostante queste perdite, i due nuovi boss Jain e Fitchen, per non allarmare gli azionisti avevano comunicato che il dividendo per azione sarebbe rimasto di 75 centesimi.  Il 25 maggio di quest’anno sempre il Handelsblatt parlava di “riformine anziché una cura radicale”. Per contrastare affari che andavano tutt’altro che bene (nel frattempo il valore delle azioni era sceso a 25 euro, nel 2007 era di quasi 120 euro) si era deciso di vendere la Postbank e ristrutturare anche il settore investment banking. Svaniva così, soprattutto per Jain, un tempo capo dell’investiment banking della Deutsche Bank a Londra, il sogno di fare dell’istituto una Goldman Sachs europea.

Più duro ancora il giudizio di Ard, il primo canale pubblico tedesco. Sul suo sito, Tagesschau i primi di giugno si leggeva: “L’autoinganno della Deutsche Bank”. I due capi avevano promesso una cura radicale, di fatto si erano invece limitati a continuare a sostenere, come già aveva fatto il loro predecessore Ackermann, che l’istituto era uscito dalla crisi finanziaria meglio di qualsiasi altro istituto. Ackermann nel suo discorso di commiato aveva affermato  di lasciare ai suoi successori una banca in buona salute. “Può darsi che la facciata si presentasse ancora intatta” scriveva la Tagesschau “le mura erano però già marce. Jain e Fitsch rinunciarono però a una ristrutturazione da cima a fondo, limitandosi semplicemente ad abbassare di dieci punti l’obiettivo quasi osceno fissato a suo tempo da Ackermann, di una rendita del 25 per cento”.

Il primo luglio è arrivato poi l’inglese John Cryan, dal 2013 membro del consiglio di sorveglianza dell’istituto.  E lui ha parlato subito chiaro: “D’ora in poi contano solo i fatti, non le parole”. Cryan si è messo subito al lavoro, ha rifatto i conti. Dopo i 3,6 miliardi euro già pagati in spese e ammende giudiziarie, anche per quest’anno sono previsti 3 miliardi di euro e Cryan decidendo di restare largo ha messo in riserva un altro miliardo. Altri 600 milioni riguardano la partecipazione alla banca cinese Hua Xia in seguito alle recenti turbolenze finanziarie. Ma il vero macigno sta nel core business della Deutsche Bank.

Per quel che riguarda i settori dell’investment banking, della gestione capitali privati e d’impresa la banca deve ridurre la valutazione di ben 5,8 miliardi di euro. “Il che dimostra” scrive al Welt, che a oggi Deutsche Bank ha calcolato in modo eccessivamente ottimista la sua situazione così come la possibilità di vendere la Postbank per lo stesso valore per il quale è stata a suo tempo acquistata da Ackermann, cioè 6 miliardi di euro. Infine ci saranno diverse migliaia di licenziamenti. I media seguono con attenzione il divenire della banca, che tra le grandi banche è comunque già un fanalino di coda. Diversamente dalla vicenda VW, gli scandali della Deutsche Bank non sembrano allarmare più di tanto, o dare adito a preoccupazione

Tutti attendono ora il 29 ottobre quando Cryan comunicherà ufficialmente la sua strategia per rimettere in careggiata l’istituto.


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