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Cosa (non) pensa Draghi della manovra di Renzi e Padoan

bce

Che cosa pensa Mario Draghi della politica economica di Matteo Renzi? Come vede una Legge di stabilità coperta per due terzi in deficit, cioè emettendo nuovo debito? Potrà davvero dare uno stimolo alla ripresa? Sono queste le domande che girano tra gli addetti ai lavori. E molti si aspettavano una risposta dalla conferenza stampa della Bce che si è riunita a Malta, pur rendendosi conto che mai e poi mai Draghi sarebbe intervenuto dall’esterno e scorrettamente sulle autonome scelte del governo italiano. L’attendevano non solo i giornalisti italiani presenti, ma anche gli stranieri.

Sul blog del Financial Times, Ferdinando Giugliano scrive: “Arriva una domanda sul budget italiano, la cosa si fa succulenta”. Ebbene, Draghi risponde indirettamente, prende in mano il foglietto con la sua introduzione e legge il passaggio nella parte finale: “Le politiche fiscali dovrebbero sostenere la ripresa economica rimanendo in piena conformità con le regole europee”.

Un modo gesuitico di rispondere? Non esattamente, le parole sono chiare. Tanto che aggiunge: “La piena e consistente realizzazione del patto di stabilità e sviluppo è cruciale per la fiducia nella nostra intelaiatura fiscale. Nello stesso tempo, tutti i paesi dovrebbero battersi per una composizione delle politiche fiscali favorevole allo sviluppo”. Poco prima aveva richiamato l’esigenza di riforme strutturali vista l’alta disoccupazione e la bassa crescita della domanda interna nel momento in cui rallenta anche quella internazionale. E aveva sottolineato l’esigenza di un “rapido ed effettivo completamento delle riforme”.

Dunque, a questo punto sta all’uditorio verificare se la Legge finanziaria italiana rispetta pienamente le regole fiscali europee e in particolare il Patto di stabilità. E se nello stesso tempo è abbastanza orientata alla crescita. 

Sul primo punto, la regola del deficit viene rispettata, non quella debito; il pareggio è rinviato di un altro anno, quanto alla crescita, dovrebbe aggiungere due o tre decimali di punto, meglio che niente, ma senza dubbio non è un grande calcio nel sedere della congiuntura. Quanto alla realizzazione delle riforme i tempi sono lunghi, ma quella del mercato del lavoro sta dando già alcuni frutti. Luci e ombre, dunque?

Non possiamo mettere in bocca a Draghi parole che non ha pronunciato o vaticinare quel che pensa. Ma ha detto chiaro e tondo all’inizio del mese che i benefici della ripresa dovevano essere destinati alla riduzione del debito nei Paesi con un indebitamento troppo elevato. E certo un livello pari al 135% che non scenderà fino al 2018 è senza dubbio rischioso, magari non subito visto che i titoli di Stato italiani vengono sempre ben collocati e che lo spread scende addirittura sotto i cento punti, ma non appena cambierà la tendenza dei tassi di interesse sul mercato.

La svolta partirà dalla Federal Reserve, forse già a fine anno o ai primi del 2016. La Bce non la seguirà, per il momento, anzi conta di aumentare già nella riunione di dicembre l’acquisto di titoli (un Qe2), come è emerso ieri dalle parole di Draghi. Tuttavia la banca centrale può condizionare, non prevedere l’andamento dei mercati sui quali si determinano i tassi a medio lungo termine. E sul mercato incidono due componenti di fondo: aspettative e fiducia, le quali dipendono dai comportamenti degli attori.

Ci si aspetta che il debito italiano scenda? All’estero c’è fiducia in Renzi che riscuote ancora una popolarità altissima in Italia? Sono le domande chiave alle quali Draghi non può dare risposta.

Stefano Cingolani


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