La Germania ha fretta. Governo e forze dell’ordine temono che l’arrivo in massa dei profughi possa scatenare reazioni sempre più violente. Un campanello d’allarme sono le proteste di lunedì a Dresda. Questa settimana si sono riuniti in 15 mila davanti all’edificio storico della Semperoper, per festeggiare il primo anno del movimento nazionalista Pegida e per protestare contro “l’invasione e l’islamizzazione” della madrepatria tedesca.
Su alcuni cartelloni c’erano disegnati cappi per Angela Merkel, il suo vice e capo dell’Spd Sigmar Gabriel e il capo di Stato Joachim Gauck. Il lunedì precedente, sempre a Dresda, erano stati eretti addirittura dei patiboli con i cappi “dedicati” ai due. Spaventa poi il numero crescente di attentati contro immobili destinati ad accogliere i profughi (in questo 2015 se ne sono contati già 490, contro i 153 del 2014). E così il governo ha deciso di accelerare il rimpatrio di profughi senza diritto d’asilo.
Una settimana fa le due Camere del Parlamento hanno approvato la nuova legge sul diritto d’asilo. Le operazioni di rimpatrio nei Paesi considerati “sicuri” – tra questi figurano ora anche il Montenegro, il Kosovo e Albania (e tra un po’ potrebbe aggiungersi anche la Turchia, se Ankara si impegnerà a trattenere i profughi nei suoi centri di accoglienza) – avrebbero dovuto iniziare l’1 novembre. Ma stamane si è appreso che il primo contingente dovrebbe partire già domani. Così facendo – secondo l’esecutivo – si spera di calmare un po’ gli animi e, al tempo stesso, alleggerire significativamente il lavoro di registrazione dei profughi. Fino ad agosto, infatti, il 40 per cento dei richiedenti asilo proveniva da Balcani. Quante persone possa comprendere il primo contingente non è però stato detto.
Le novità introdotte con la legge appena licenziata sono le seguenti: i tempi di permanenza nei centri di prima accoglienza di chi, sulla base delle nuove disposizioni, non avrebbe diritto all’asilo, passerà dai 3 ai 6 mesi. Queste persone riceveranno, diversamente da prima, quasi esclusivamente aiuti materiali e non più economici (anche questo un deterrente per chi arriva dai Balcani). Inoltre è previsto l’abbattimento di ostacoli burocratici per poter organizzare più velocemente alloggi per gli aventi diritto all’asilo. Coloro che hanno buone possibilità di ottenerlo, potranno più facilmente accedere ai corsi di integrazione e all’assistenza sanitaria.
Per loro decade anche l’obbligo di residenza: dopo i primi quattro mesi dall’arrivo potranno muoversi liberamente in tutta la Germania. L’assistenza sociale continuerà, però, a essere elargita solo nel luogo di residenza ufficiale. Anche l’accesso al lavoro viene facilitato: prima si era costretti a nove mesi di inattività, mentre per i cosiddetti “tollerati (cioè coloro che non avrebbero diritto all’asilo, ma sono privi di documenti, malati o minorenni – come nel caso della ragazzina palestinese scoppiata in lacrime durante una visita di Merkel) il periodo era di un anno.
Ora entrambi i gruppi dovranno pazientare solo tre mesi, anche se per i primi 15 mesi resta valido il “principio di precedenza”: cioè nel caso vi sia un tedesco disoccupato con la stessa qualifica, il posto andrebbe a lui. L’aiuto economico del governo ai Länder e ai comuni aumenterà quest’anno di 2 miliardi di euro, mentre a partire dal 2016 il governo si accollerà per ogni rifugiato un importo forfettario di 670 euro al mese. Sommando questo importo ai sostegni finanziari per l’edilizia sociale e per l’accudimento di minorenni non accompagnati, le regioni potranno contare nel 2016 su 4 miliardi di euro in più.
L’opposizione parlamentare così come l’organizzazione “Pro Asyl” hanno criticato aspramente la nuova legge, definendola umiliante e cieca. L’inserimento del Kosovo (dove i Rom sono vittime di pesanti discriminazione), del Montenegro (dove giornalisti indipendenti vengono minacciati) e dell’Albania (dove la violenza contro le donne e la maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza sono prassi quotidiana) nella lista dei Paesi sicuri è, a detta loro, un atto di mistificazione della realtà. A prescindere dal fatto che, come scrive il settimanale Stern, la definizione di Paese sicuro non trattiene le persone dal cercare altrove un futuro migliore. La Serbia, continuava l’articolo di Stern, viene considerata dal 2014 (insieme alla Bosnia-Herzegovina e la Macedonia) un Paese di provenienza sicuro. Ciò nonostante nel 2014 sono stati 14.400 i serbi giunti in Germania, mentre nello stesso periodo sono arrivati 15.300 iracheni.
Andrea Affaticati