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Tutte le pene del governo Renzi

Non è cambiato il vento, sono le quinte del teatrino che vengono giù, una ad una. Sulla legge di Stabilità si è scatenata la bufera. Ma non è stato il centrodestra, né il M5S ad aver dato fuoco alle polveri.

E’ stato Mario Monti, in una intervista televisiva, ad andare giù durissimo, come sa esserlo quando vuole bocciare senza rimedio una impostazione diametralmente opposta alla sua: la proposta del governo Renzi cerca il consenso a tutti i costi; pregiudica i sacrifici fatti finora per risanare le finanze pubbliche e soprattutto mette in difficoltà Mario Draghi che sta spendendo e spandendo liquidità in tutta Europa per comprare titoli di Stato, per abbassare i tassi di interesse e gli spread sul debito pubblico. Anche su Repubblica, la testata che tanto si è battuta a favore di Matteo Renzi, compaiono articoli durissimi.

Dopo l’ultimo intervento del Governatore della Bce, in cui prennunciava che il Qe potrebbe essere prolungato e rafforzato se necessario, il differenziale tra i BPT italiani ed i Bund è sceso addirittura sotto quota 100: se i governi che devono mettere i conti in ordine non approfittano della bonaccia di questi mesi, vuol dire che hanno ragione coloro che sostengono che bisogna mazzolarli duramente, senza respiro, finché non hanno finito di fare i compiti a casa.

Ed in effetti, il disegno di legge di Stabilità che approda finalmente al Senato per la prima lettura, prevede un aumento del deficit rispetto a quanto programmato con il Def presentato a primavera; rinvia al 2018 il pareggio strutturale del bilancio, peggiorando di 3/10 di punto il livello già raggiunto; rinvia ancora la spending rewiew e sposta al 2017 ed al 2018 le clausole di salvaguardia che erano già state previste per l’anno prossimo, con aumenti dell’Iva da far paura. L’aliquota ordinaria arriverebbe al 25%!

Occorre analizzare con cura l’azione del governo Renzi: al padronato confindustriale ha offerto biada e carote, dando seguito alle richieste di abolire l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Per invogliare le imprese ad assumere con il nuovo contratto di lavoro “a tutele crescenti” (nel senso che, nel caso di un licenziamento senza giusta causa, il lavoratore ha diritto ad una indennità di licenziamento crescente con l’anzianità) ha addirittura inserito una serie di corposi vantaggio contributivi. Tutti i dieci mesi fin qui trascorsi del 2015 sono stati caratterizzati da una guerricciola sui numeri degli occupati: se in più o in meno rispetto al mese prima ed all’anno precedente, con saldi negativi o positivi tra contratti cessati e nuove assunzioni, tra rinnovi e conferme. I dati dell’occupazione nel 2015 sono stati drogati dagli incentivi fiscali alle assunzioni, come quelli dei consumi delle famiglie sono stati sostenuti dal “bonus 80 euro”.

Così come aveva fatto nel 2014, quando il bonus fu incassato con il primo stipendio successivo alle elezioni europee, quest’anno il governo Renzi si è giocato la faccia con il Jobs Act: gli è andata benino, visto che la previsione di crescita per il 2015, il +0,7% è stata rispettata. Si dice che sia stato merito della svalutazione dell’euro, del crollo del prezzo del petrolio e dei tassi rasoterra decisi dalla Bce. Stavolta, la mossa demagogica sarebbe l’eliminazione della Tasi sulle prime case: Renzi ha fatto suo il cavallo di battaglia del centrodestra nella campagna elettorale del 2013. E pazienza se i proprietari di ville e castelli dovranno continuare a pagare.

La verità è che questo andamento del Pil non basta per stabilizzare il rapporto debito/pil, né tantomeno a farlo scendere. Secondo il Def per il 2014, il primo presentato dal governo Renzi, il rapporto doveva iniziare a scendere nel 2015. L’obiettivo non è stato raggiunto, ed ora si prevede che la riduzione comincerà nel 2016.

Mario Monti attacca sulla necessità del rigore, ma il suo governo sul punto sbagliò assai di più: nell’aprile del 2012 aveva previsto che la riduzione del rapporto debito/pil sarebbe iniziata l’anno successivo, nel 2013. Poi, l’anno dopo, spostò l’obiettivo al 2014: le sue previsioni riferite al 2013 balzarono dal 121,5% al 130,4% del Pil: un errore enorme, di 8,9 punti percentuali. Non aveva previsto il crollo disastroso dell’economia indotto dal suo “Salva Italia”, il Presidente del Consiglio e ad interim Ministro dell’economia, Prof. Mario Monti. La sua ricetta del rigore ha devastato l’economia reale: l’aumento delle tasse, tra cui la tanto contestata IMU, ha contratto la domanda delle famiglie, ha fatto fallire centinaia di migliaia di imprese, ha buttato sulla strada ben più di un milione di lavoratori.   Adesso, per risanare il debito, bisogna smantellare tutto l’apparato pubblico: tagliare le pensioni, chiudere la sanità, privatizzare le università e l’istruzione, ridurre gli stipendi, eliminare la contrattazione collettiva, tassare ancor più le case rivedendo le rendite catastali.

Già, bisogna tartassare le case, le prime e le seconde, perché solo così si fanno pentire i cittadini di averle comprate, di aver investito nel mattone tutti i risparmi di una vita. Gli immobili devono diventare un incubo per chi li possiede, per quante tasse pagano. Solo così gli italiani saranno indotti ad affidare i loro risparmi ai fondi di investimento, a scommettere in Borsa, a sottoscrivere le polizze dei Fondi pensionistici e delle assicurazioni sanitarie private. Lo Stato sociale è in default, ma  dovranno pagare comunque il doppio: sia per saldare i debiti contratti dal primo sia per assicurarsi il nuovo welfare privato. Saranno finalmente padroni solo di pezzi di carta, alla mercè quotidiana dei mercati: è il grande sogno di Mefistofele che si avvera. Tutti schiavi di una ricchezza virtuale.

Se non si smantella il sistema pubblico, accusandolo ogni gorno di ogni nefandezza e di ogni ruberia possibile ed immaginabile, il disegno non riesce. Gli scandali giornalieri servono a questo: ma non si denuncia subito chi viola la legge, si attendono mesi e mesi di indagini, per accumulare le prove. Così i dossier si ingigantiscono, per poi andare a riempire pagine e pagine di giornali con le fotografie dei corrotti. L’opiniane pubblica è frastornata e si indigna: il gioco è fatto. Pronti per il nuovo scandalo, fino alla esasperazione dei cittadini, che dovranno perdere ogni fiducia nel sistema, liso e corrotto. Irrecuperabile.

Bisogna aprire gli occhi: siamo sul crinale dello smantellamento definitivo degli Stati, di quella organizzazione novecentesca fondata sui partiti di massa e sui sindacati, sulla identificazione di classe e sulla democrazia rappresentativa. Quel sistema in cui gli elettori decidono chi eleggere e gli eletti sanno bene a chi deve il consenso.

Per fronteggiare la crisi del ’29, si dette vita al Welfare State, anche e soprattutto negli Usa ed in Inghilterra. In Italia, le banche e le grandi imprese, quasi tutte fallite, furono nazionalizzate, creando l’Imi e l’Iri. Stavolta, dopo la crisi del 2008, le banche sono state salvate dagli Stati e dalle banche centrali, che si sono entrambi indebitati come mai prima d’ora per evitare il collasso dell’economia. Ancora oggi, la Banca centraleeuropea inonda di liquidità le Banche, ma a crescere sono solo i listini delle Borse. Finchè regge.

La riforma costituzionale in corso, che sarebbe necessaria per governare meglio e decidere più in fretta, la legge elettorale iperminoritaria che assicura seggi parlamentari in abbondanza anche a chi non ha altrettanto consenso nel Paese, la riforma-catenaccio delle banche popolari, la quotazione in fretta e furia delle Poste italiane, le insostenibili spending rewiew che dovrebbero smantellare interi pezzi dell’intervento pubblico nell’economia, la abolizione delle Province, sono tutte tessere del medesimo disegno.

L’obiettivo è tornare a “prima del 1931”: a quel sistema in cui gli Stati erano nelle mani delle elite economiche e finanziarie, i Parlamenti rappresentavano solo le classi dominanti.

Siamo alla resa dei conti: chi pensava di menare la danza si trova sotto scacco.

Anche il governo Renzi, dopo aver tanto compiaciuto con biada e carote i poteri economici e finanziari che l’hanno appoggiato nella sua corsa e nella rottamazione di tutto e di tutti, ha capito quanto è pesante il conto che deve saldare. Così, ha mandato avanti la palla, con una manovra in cui non fa nulla di quanto era stato promesso. Né lacrime, né sangue, almeno per quest’anno.

Per questo, ora si vedono roteare i bastoni.



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