L’economia circolare non è solo l’ennesima iniziativa di carattere ambientale. I suoi effetti vanno ben oltre e riguardano aspetti economici di vasta portata. Chiaramente, muoversi verso un’economia circolare determina ricadute più che positive in termini ambientali, ma il potenziale economico e le opportunità di business sono ben più grandi. McKinsey & Co ha stimato che nel 2030 il totale delle persone che vivrà in città sarà di cinque miliardi, un miliardo e mezzo in più rispetto a oggi. Cinque su un totale di nove. In termini economici, ciò si traduce in un aumento di 3 miliardi di nuovi consumatori della classe media.
La sfida che ci attende è quella di fornire prodotti e servizi a questi nuovi consumatori, tutelando allo stesso tempo le limitate risorse del nostro pianeta. Per decadi abbiamo utilizzato le risorse in modo insostenibile, basandoci sull’approccio prendi-produci-consuma-getta. Ora stiamo imparando a nostre spese che questo atteggiamento non è più ripetibile. Attraverso iniziative come la Valutazione dell’impatto ambientale del ciclo di vita, la Commissione europea ha stabilito partnership con 300 associazioni d’affari e industriali per raccogliere elementi di analisi. Una fonte affidabile per misurarne gli impatti: a partire dal giusto modo di estrarre le risorse fino a giungere alla chiusura del ciclo di vita dei prodotti.
È noto che in molti casi l’Unione europea è ricca di competenze, ma povera di risorse. Per poter competere abbiamo quindi bisogno di una base di risorse molto più forte ed efficace. Perché non dare allora una seconda vita ai prodotti? Nel 2013 la Ellen MacArthur Foundation ha preparato un sostanzioso documento sul settore manifatturiero dell’Ue. Hanno calcolato che entro il 2025 il risparmio netto sul costo dei materiali potrebbe garantire al settore dai 4 ai 5 miliardi di euro all’anno. Un risultato raggiungibile in modo semplice: stimolando l’attività economica nelle aree di sviluppo, riciclo e rigenerazione dei prodotti. Oggi l’imperativo è quello di mantenere il valore aggiunto dei beni il più a lungo possibile, eliminando in pratica i rifiuti.
L’economia circolare può quindi tradursi in un punto di svolta cruciale. Ma parlando alla comunità d’affari, so bene che in molti casi mi trovo davanti a chi questi concetti li ha già acquisiti. Ad esempio, Project mainstream – parte dell’iniziativa sull’economia circolare del World economic forum – mostra come sono diventate alcune importanti società multinazionali che hanno investito in circular economy. Le aziende che si muovono nell’ambito di Project mainstream hanno già capito quali opportunità si celano in questa evoluzione. Se gestiamo correttamente la transizione, stimiamo che la riduzione dei rifiuti, l’eco-design, il riuso e il riciclo potranno generare un risparmio netto di 600 miliardi di euro, pari all’8% del fatturato annuo delle imprese nell’Ue, riducendo allo stesso tempo il livello annuale delle emissioni di gas a effetto-serra del 2-4%.
Fatte queste considerazioni, bisogna domandarsi cosa si può fare per incoraggiare e facilitare la transizione. Innanzitutto entro la fine dell’anno la Commissione europea presenterà un nuovo pacchetto sull’economia circolare. In questo momento, come parte della fase preparatoria, stiamo analizzando gli esiti della consultazione pubblica online. L’economia circolare è quello verso cui dovremmo tendere. Si tratterà di un grande passo in avanti, ma non dimentichiamoci che è solo parte di un disegno più grande. Il posto che il capitale naturale occupa nella nostra economia e nei modelli economici rimane centrale per la sostenibilità di lungo periodo. Non può esserci un’economia sostenibile senza una piena integrazione e protezione del capitale naturale, sia esso presente sulla terra o nei mari.
Questo è il motivo per cui la crescita verde rispetta e si basa sui principi della biodiversità e dei servizi resi dal nostro ecosistema e per cui la crescita blu fa riferimento all’immenso potenziale dei mari e degli oceani: basti pensare all’energia degli oceani, alle loro risorse, alle biotecnologie marine, all’acquacoltura o al turismo delle coste. I nostri ecosistemi, gli oceani e la biodiversità riservano opportunità economiche incredibili, ma allo stesso tempo richiedono un’importante responsabilità ambientale. Nella nostra ricerca di sostenibilità, le opportunità economiche e le responsabilità ambientali non solo sono complementari, ma si rinforzano reciprocamente. Inoltre, in ogni opportunità economica è importante rilevare che i maggiori portatori di interesse sono i consumatori, che stanno diventando sempre più esigenti.
La società moderna diventa più smart, autonoma e innovativa e, soprattutto, orientata alla condivisione. Chi avrebbe mai immaginato, anche solo cinque anni fa, che l’acquisto di una macchina non sarebbe più stato un semplice acquisto individuale? Un prodotto che, secondo le statistiche, è utilizzato solo per l’8% del suo tempo. Ora il concetto che la macchina rappresenti un servizio che si usa e non un prodotto che si possiede sta diventando sempre più prevalente. A volte le opportunità del mercato sono nel settore dei servizi piuttosto che in quello della produzione. Questa è la nuova economia della condivisione. I consumatori devono essere il canale attraverso cui dare una seconda vita ai prodotti.
Il nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (Efsi) apre così nuove linee di finanziamento per progetti inseriti nell’economia circolare, fornendo un valido supporto agli imprenditori e offrendo l’infrastruttura necessaria per questa evoluzione. Dobbiamo far sì che l’economia circolare sia un’opportunità per risorse, settore manifatturiero e consumatori europei. L’iniziativa della Commissione europea sarà significativamente ambiziosa, ma per essere di successo avrà bisogno del supporto di investitori, industria e consumatori. Ai primi è richiesto di capitalizzare sull’innovazione, mentre all’industria di garantire flessibilità ed efficacia e ai consumatori di cambiare le proprie abitudini.
Karmenu Vella, Commissario europeo per l’Ambiente
Traduzione di Valeria Serpentini
Articolo pubblicato sul numero di Formiche di ottobre