Giacomo Acerbo era un esperto agronomo, dirigente del PNF, cui Mussolini, dopo le elezioni del 1921 (15 Maggio 1921) e la marcia su Roma (Ottobre 1922) e dopo il suo discorso del bivacco e sull’aula “sorda e grigia” (16 Novembre 1922), assegnò il compito di predisporgli una legge elettorale in grado di garantirgli quella maggioranza parlamentare di cui non disponeva alla fine del 1922, risultando prevalenti i deputati socialisti e popolari, espressione della legge elettorale proporzionale che aveva concorso al superamento dell’Italia liberale giolittiana alle elezioni del 1921.
Acerbo per la redazione di quella legge ebbe la consulenza illustre, nientemeno che del futuro primo presidente della Repubblica Enrico De Nicola, e di altri illustri giuristi con cui scrisse la famigerata legge che garantiva il controllo assoluto del Parlamento alla lista che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti (Legge 18 Novembre 1923,n.2444).
Legge Acerbo del 1923, squadracce fasciste in azione a giorni alterni e su e giù per l’Italia, violenze diffuse ai seggi, utilizzo dei nuovi mezzi di propaganda da parte di Mussolini, che, da semplice capo del PNF autore della sgangherata marcia su Roma, fu incaricato dal Re di guidare il governo in cui entrarono molte delle forze presenti in quel parlamento rassegnato e convinto che, alla fine, quell’ex socialista sarebbe rientrato nel buon ordine parlamentare tradizionale; furono questi gli ingredienti, insieme alla sostanziale indifferenza della maggioranza degli italiani desiderosi solo di un ritorno alla “normalità”, che stettero alla base dell’oltre 65% di voti colti dalla Lista nazionale (60,09%), con in netta evidenza il suo simbolo del fascio littorio, insieme alla Lista Nazionale bis dei dissidenti fascisti ( 4,85 %).
Anche allora, i sindacati messi in ginocchio e un clima di progressiva occupazione del potere a tutti i livelli della nuova compagine nera con gli aggregati accoliti e turiferari alla bisogna.
A sommo disonore eterno della nostra storia di Popolari quello Stefano Cavazzoni, resosi subito disponibile a sostenere la famigerata Legge Acerbo, che Sturzo sempre osteggiò sino a dimettersi da segretario del PPI il 10 Luglio 1923, prima dell’approvazione di quella legge e delle successive elezioni plebiscitarie a favore del Duce (6 aprile 1924).
Ripasso velocemente queste tristi pagine della nostra storia nazionale che, pur nelle sostanziali diversità rispetto alla situazione attuale, servono a riflettere su ciò che sta accadendo oggi in Italia.
Non siamo alle drammatiche condizioni del dopoguerra d’inizio secolo scorso, ma viviamo una altrettanto difficile situazione economica, sociale, culturale e politica, più volte rappresentata con la mia euristica teoria dei quattro stati, la cui espressione finale è caratterizzata dall’astensionismo diffuso, specie del terzo stato produttivo vessato e senza più rappresentanza politica, con una condizione istituzionale partorita dal “golpe blanco” del 2011, in presenza di un Parlamento di nominati illegittimi, in cui trionfa il più indecente trasformismo e compravendita quotidiana di voltagabbana interessati solo alla sopravvivenza nei privilegi della casta.
Se Acerbo poté redigere quella famigerata legge con l’assistenza di De Nicola, Matteo Renzi deve, invece, a quegli “ illustri costituzionalisti toscani” di Verdini e della Boschi, insieme al Migliavacca, la stesura della legge super truffa dell’Italicum, costruita per garantire al
“ Bomba” il controllo definitivo di un Parlamento nel quale, almeno sino a oggi, egli non è mai stato eletto.
Anche adesso, come allora, il sindacato è in ginocchio, i partiti di opposizione frantumati e divisi, la sinistra in pratica scomparsa, mentre forte è la voce degli estremismi senza speranza.
Al Senato si sta svolgendo un’indegna rappresentazione il cui esito sembra scontato. I media sono in massima parte schierati a sostegno del “giovin signore” che è in grado di mobilitare tutti i moderni strumenti della propaganda, a disposizione diretta e indiretta del governo, per prepararsi alle prossime elezioni drogate da quell’ ircocervo dell’Italicum.
Non ho più parole per denunciare i gravi rischi che sta correndo la democrazia italiana. Mi resta solo la speranza che qualcun altro, molto più autorevole del sottoscritto, sappia raccogliere questo sconsolato grido di dolore di una voce che é sempre più flebile, sempre più dolente e sempre più sola.
Ettore Bonalberti